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la Navigazione del Po agli inizi del ‘800

“di mons.Vincenzo Pancotti XIV-1936”


Dal periodo farnesiano e sino a metà 800, Piacenza era dotata di un vero e proprio porto sul fiume Po; un porto di notevolissima importanza per tutta la provincia perchè qui venivano svolti la maggior parte di tutti i commerci. Infatti nel periodo da noi preso in considerazione, le strade via terra (a parte qualche eccezione) erano poco più che piste in terra battuta o lastricati di ciottoli, i carri trainati da animali procedevano lentamente durante le giornate miti, ma quando il tempo era inclemente erano costretto a fermarsi del tutto. Si può immaginare soprattutto nei mesi invernali con ghiaccio e neve gli spostamenti di merci erano molto limitati; invece sul nostro grande fiume a parte i periodi di eccezionali piene i trasporti con le altre città rivierasche erano di fatto quasi ininterrotti. A controllo della navigazione del Po erano adibiti due stabilimenti; uno detto Bergantino (parola che deriva dall'antico dialetto e che significa "casotto") ed era il posto adibito a caserma dove insomma erano domiciliate le guardie de porto.
L'altro stabilimento era la Darsena, che era la parte interna dell'imbarcadero, qui venivano ricoverate le navi ed aveva sede il comando supremo. Verso la fine del XVIII secolo il porto era governato da un emissario del Re di Napoli, che era chiamato Cavaliere Commendatario della Longa del Po. Questa era una Commenda dell'ordine di San Giorgio fondata dai Farnese, passata poi al Re Carlo di Spagna e da questi trasferita alla casa reale dei Borbone di Napoli; una sorta di società che gestiva le entrate esattoriali dei traffici portuali. Con l'arrivo dei francesi in città nel 1796 che naturalmente si impossessarono di tutti i beni della Darsena ma concessero al comune l'onere di tutta l'organizzazione fluviale in cambio della metà delle entrate. Tra i principali compiti di questi stabilimenti vi era quello di arruolare uomini in grado di conoscere bene il fiume e la sua navigazione e che servissero a tutte le mansioni in essa svolte. Questi erano chiamati i "Paroni". Il loro numero non era inferiore alle 600 unità divisi in sette ispettorati, ognuno gestito da un capo chiamato "Console". In caso di straripamento, questi navaroli erano obbligati a correre ovunque ci fosse bisogno del loro aiuto e della loro arte navigatoria. Quattro di essi erano adibiti alla guardia degli uffici del Bergantino. Questi servizi portavano molti privilegi a loro che li eseguivano come: l'esenzione dei pedaggi e dal servizio militare sia per loro che per i familiari. Va ricordato che nel 1797 la sponda piacentina fu staccata da quella lombarda che entrò a fare parte della Repubblica Cisalpina, lasciando di fatto tutto il lavoro da svolgere nel porto ai nostri concittadini della riva destra riducendosi così solo a un terzo di forza lavorativa. Il Bergantino come già detto, era la casa dei guardiani, esso accoglieva un capitano, un caporale e i quattro Paroni più anziani; la comunità forniva loro attrezzi, barchei a remi, letti e vettovaglie che servivano per lo svolgimento del loro lavoro. Altre mansioni dei Paroni erano: nel caso che il passaggio sul ponte di barche fosse impedito essi, sia di giorno che di notte dovevano impegnarsi per dare passaggio alle staffette e ai funzionari pubblici; dovevano mettere in atto il sequestro delle barche ordinato dai tribunali competenti; dare soccorso alle barche in pericolo; recuperare dal fiume eventuali cadaveri emersi ed avvisare gli organi competenti adibiti al riconoscimento delle salme ed infine avvertire il Governo circa i luoghi dove avveniva lo straripamento o la rottura degli argini in caso di piene. Le paghe mensili delle persone che lavoravano al Bergantino erano così distribuite: al capitano andavano lire di Parma 34,13, al caporale lire 18, a ciascuno dei Paroni lire 9, era inoltre usanza che ogni barca carica di vino onorasse al capitano di una brenta per lui e di un' altra per dividersi tra il commesso e le guardie. Il Governo francese dal 1805 al 1814 soppresse tutti i pedaggi di transito sul Po da Torino sino al mare. Cosicchè vennero a mancare i servizi dei navaroli che non essendo più pagati vissero un periodo di disgrazia. Nel 1816 i comuni italiani vennero riordinati e da capo di essi i pretori vennero sostituiti dai podestà. Quello di Piacenza chiese al Governatore Moreaù di ripristinare i servizi fluviali ritenuti da tutti estremamente importanti; non si sa bene cosa il Francese rispose al nostro podestà, ma da documenti ritrovati di recente sappiamo che tutti gli oneri furono accollati alla comunità dando in pratica carta bianca al comandante del porto che ripristinò tutti i compiti svolti nel Bergantino e redasse nuove norme sui pedaggi da pagare.
(vedi tabella riportata qui sotto)

diritti per il traverso del fiume

Ogni specie di imbarcazione solcava il nostro fiume dai piccoli battelli da pesca alle grandissime navi. Infatti nell'800 non era difficile scorgere il passaggio di imponenti mezzi nautici a vapore. Nel 1819 "l'Eridaneo" faceva rotta da Pavia a Trieste, nel 1828 il piroscafo "Maria Luigia" veniva varato nei cantieri piacentini, altri battelli che navigarono il Po furono il "Pio IX" e "Principessa Clementina" negli anni dall'847-850 e dopo il 1852 i piroscafi dell'impresa Lloyd. Merita particolare menzione il battello Maria Luigia, che venne fatto costruire da GaetanoTesta capo appaltatore delle finanze del Ducato; su disegno dell'Ing. Sarti. Il 22 marzo 1828 "alle ore 4 pomeridiane il battello, malgrado il forte vento, venne lanciato nelle acque del Po; presenti tutte le autorità militari e civili ed una multitudine di popolo accorso sulle sponde per vederne il varo. Il vicario diocesano Mons. Bissi elargì la benedizione al piroscafo e con il bene augurale sparo a salve di cannoni, comparve sulle acque del Po, snello e leggero, tutto imbandierato salpò verso Sacca (zona di Colorno). Dove giunse il 31 dello stesso mese e ospitò a bordo la stessa duchessa Maria Luigia, sulla quale risalì il fiume per qualche miglia”. Quel battello era lungo 30 metri, fece molte volte la rotta verso Venezia e Roma. Il viaggio verso la capitale durava circa 30 giorni. Con l'avvento di nuovi mezzi di trasporto quali: treno, tram a vapore e autoveicoli, la navigazione del Po andò pian piano diminuendo fino a perdere ogni importanza commerciale. (da strenna piacentina 1936).


il silenzio.. chi avrebbe detto che sarebbero venuti a violarlo i fischi acuti e lamentosi dei battelli a vapore