penna

un Cantante per il Maestro Carlo Concina

un ricordo d'infanzia del "solit profesur"


Il "vecchio Roma" vide sfilare per le sue sale molti artisti ambulanti durante i primi anni ’50, cioè molti che in quegli anni di persistente povertà sbarcavano il lunario offrendo esibizioni canore o musicali in cambio di qualche soldo generosamente elargito dai clienti. Nessuno si sognava di scacciarli anzi essi erano considerati un gradevole accompagnamento per la clientela specie durante l’ora dei pasti. Mio padre, che io ricordi, non vietò mai a nessuno di entrare ed esibirsi, aveva un sacro rispetto per tutti e comprendeva bene le difficoltà altrui.


la facciata del vecchio albergo roma

Uno dei più famosi musicisti itineranti era il re del mandolino Iselli che con il fido accompagnatore e chitarrista Politi costituiva un duo assai popolare allora nelle trattorie e nei pubblici locali cittadini. Iselli era paralizzato dalla cintola in giù e si spostava su un carrozzino spinto dall’amico. La menomazione non incideva sulla qualità della sua arte poiché davvero egli era un maestro pur non conoscendo, secondo quanto si diceva, la musica sul pentagramma. Suonava ad orecchio ma la tecnica era eccellente. Ricordo bene entrambi: lui, Iselli, sempre con un cappelluccio con l’ala rivolta all’insù mentre l’amico era sempre a capo scoperto. Facevano la loro comparsa verso l’ora del ristorante, si mettevano in un angolo e deliziavano il pubblico con una serie di canzoni allora in voga. Io avevo una speciale predilezione per una che iniziava o s’intitolava “all’alba se ne parte il marinaro”, ed Iselli lo sapeva bene poiché una volta mio padre glielo aveva detto (io ero troppo timido per parlargliene). Così se ero presente non mancava di suonare per me quella canzone. Io gli sorridevo leggermente, incapace di dirgli alcunché ma lui comprendeva che l’omaggio era apprezzato. Dopo l’esibizione nella sala ristorante la coppia passava nella sala B, quella riservata ai "pessgàtt" e lì veniva accolta con applausi scroscianti al termine di ogni brano eseguito, talvolta qualcuno offriva loro da bere un quartino e la sosta si prolungava. Ma di solito i due erano molto discreti: dopo il rituale giro con il piattino fatto dal silenzioso Politi si eclissavano ringraziando umilmente.


i musicanti iselli e politi

Un altro curioso artista che si esibiva al Roma in quegli anni era quello che chiamavano il Tirolese, per via di una divisa verde con nappe e fiocchetti sparsi un po’ dappertutto che lui sfoggiava impettito. Era un ometto minuscolo e un pò buffo dai baffetti biondi e portava un piatto berretto militaresco che ben si sposava con la divisa. Aveva una chitarra strana con molte più corde e chiavi delle normali che sapeva suonare con sufficiente abilità. Di lui ricordo una canzone che faceva più o meno così :”zigo, zigo, zago, tu m’hai rotto l’ago, tu m’hai rotto il cuore..” che lui cantava accompagnandosi alla chitarra con una vocetta acuta abbastanza impostata ma un pò femminea.

Vennero in quegli anni anche suonatori di fisarmonica, violinisti e cantanti solisti. Di questi ultimi mi è rimasto vivo il ricordo del Toscano non solo perché passò molte volte in albergo ma anche per un curioso episodio che voglio raccontare. Il Toscano lo chiamavano così per la sua evidente origine che si palesava al solo udirlo parlare. Non era però un chiacchierone e più che parlare sapeva farsi apprezzare cantando. Era sui quaranta, di media statura, fisico un po’ appesantito, coi radi capelli leggermente impomatati, indossava un completo a righe decente ma ormai piuttosto liso sugli orli, mi pare che d’estate si presentasse in maniche di camicia. Aveva un bella voce melodiosa che ben si adattava al repertorio delle canzoni che si udivano allora alla radio in occasione del Festival di Sanremo: "grazie dei fior", "la vita è un paradiso di bugie", "vecchio scarpone", "vola colomba". A proposito di quest’ultima devo ricordare che gli autori erano i maestri Cherubini e Concina.

Il maestro Carletto Concina, pavese d’origine, era di casa al Roma. Veniva spesso da noi quando era di passaggio a Piacenza, a volte si mescolava ai "pëssgatt" della sala B per farsi un quartino in loro compagnia e forse una partita a carte. Un giorno il Toscano entrò nella sala ristorante durante l’ora di pranzo e iniziò a cantare alcune popolari canzoni già portate al successo da Claudio Villa. Venne poi naturalmente la volta di "vola colomba" che il Toscano cantò con l’abituale maestria. Tra i commensali era presente anche il maestro Concina che l’ascoltò interessato per poi congratularsi con l’artista, il quale però ignorava di aver davanti l’autore del brano. Mio padre che stava a pochi passi da loro, si avvicinò e glielo disse. Figuratevi come ci rimase il Toscano, divenne tutto rosso per l’emozione e balbettava che quel giorno la canzone non gli era riuscita troppo bene a causa di un certo raffreddamento alla voce, “la mi perdoni, maestro.. “, continuava a ripetere costernato.


il maestro carlo concina

Concina invece lo elogiò rassicurandolo che la sua interpretazione gli era molto piaciuta e quello non la finiva di ringraziarlo. Infine, un po’ titubante, estrasse da una borsa scura che sempre portava con sé lo spartito della canzone e volle che il maestro glielo autografasse.

Prima di andarsene felice non dimenticò di passare, come faceva sempre, dalla cucina dove lo zio cuoco, avvertito da mio padre, gli aveva già preparato come sempre un cartoccio con quelle che erano le semplici cibarie da lui preferite, delle saporite patatine condite nel sugo d’arrosto. (di giorgio vecchi), al solit profesur..