penna

Pietro Giordani - letterato

notizie biografiche intorno alla vita e alle opere,
Carlo Malaspina – 30 settembre 1848

Spero che mi sarà perdonato, se con povere parole, meschine idee, e scarsissimi fatti verrò accennando alcune notizie intorno alla vita ed alle opere del sommo Pietro Giordani, quando sarà noto che mi posi a tale impresa, unicamente per pagare un immenso debito di gratitudine, verso quel massimo dei miei benefattori. Le nozioni scarse, il tempo breve, il difetto di studi, non mi permettono, per ora, di offrire di più: non si guardi quindi all'opera dell'ingegno, ma all'intenzione dell'animo. Dal nobiluomo Dottor Giambattista Giordani, Piacentino, personaggio di antichi principii; e dalla Teresa Sambuceti di civile famiglia genovese, nacque nella terza ora del 1774 il nostro Pietro in Piacenza. La prima infantile educazione la sortì dalla cura dei suoi genitori: ma come voleva la prepotente volontà di questi fu tenuto in tale sorveglianza, ed occupato di continuo in tante pratiche di bigotteria, (dalla madre in particolare). Siccome quella del fratello e della sorella fu come un rigidissimo noviziato monastico.

Sino dalla più tenera età fu iniziato nelle lettere da un maestro bestiale e pedante, che credette di poter far passare nella sua mente le idee a colpi di staffile. La naturale energia del Giordani se ne sdegnò e fremette; ma pure fu costretto a passare la prima età fra il tedio della scuola, le busse e i rabuffi del maestro e la noia del leggere in casa alla madre, o le novene dei santi, od altri libri d'ascetica. Se una fortunata necessità non avesse indotto il Giordani ad obbliare le tante amarezze cagionategli da primi studi, forse, come tantissimi altri giovani, avrebbe presi quelli in abborrimento; e così appena giunto a quell'età in cui la complessione basta a piaceri si sarebbe abbandonato a quelli, non avendo provato mai alcuna delizia nei primi esercizi dell'intelletto. Il primo libro che non fosse di grammatica o di ascetica pervenuto nelle sue mani di appena otto anni, fu una versione italiana di Quinto Curzio: fu tanta la gioia che provò leggendo quei grandi avvenimenti, che nella sua mente entrò da quel punto una indomabile avidità di conoscere distesamente la storia. Perciò fece quanto gli permise la sua pazienza per imparare con senno ciò che stortamente gli venivano insegnando i suoi maestri, e potè col soccorso del potente suo ingegno ottenere poi sempre nelle scuole i primi premi. Le stesse molestie che provò studiando i primi rudimenti delle lettere provò pure studiando quelli di latino; dicendo esso stesso che “avendo passati non pochi anni miseramente in quelle tristissime carceri dove si fa ogni prova d'impedire alle primizie del genere umano il diventare mai uomini, uscì dalle barbare mani dei pedanti; sapendo di latino appunto quanťessi”. E profittando della sua felice tempra a reggere a lunghi e vari studi; quel tempo che a lui rimaneva libero dalla scuola tutto passò a studiare il latino, e quel poco che gli fu possibile di storia: e così quando terminati gli studi elementari in Piacenza ottenne di venire a Parma a studiarvi le filosofiche discipline, vi venne più che erudito di latino e di storia.


ritratto del 1859

E fu bella fortuna per il Giordani allorchè venne a Parma l'avervi a maestro di filosofia morale il prof. Domenico Santi; perchè quel buono e dotto professore tanto apprezzò l'ingegno del giovanetto e tanto lo predilesse, che gli fu largo di quanto sapeva con vero amore di padre. Fece progressi giganteschi nel Latino e nell'Italiano; e giovandosi della libreria del Santi, studiò quante storie e quanti libri di lingua gli vennero alle mani. Quanto poi facesse suo il latino e le materie studiate e in qual grado, un impreveduto caso lo appalesò. Il professor Santi aveva un giorno appena incominciata la lezione, quando, preso da un malore gli si rende impossibile di continuarla, Dolente di ciò, disse a suoi scolari, che qualora avessero amato di veder continuata la lezione, il Giordani lo avrebbe sostituito; al che avendo acconsentito i giovani, il nostro Pietro salì la cattedra e continuò la lezione con tale sicurezza della materia, e della lingua, che indusse nei condiscepoli più che meraviglia stupore.

Però sul principio degli studi filosofici ciò che più lo invaghì fu la matematica e l'algebra e forse si sarebbe dato di proposito a questi studi ove la mal ferma salute non glielo avesse allora impedito. Ciò non pertanto che recherà meraviglia si è, come in mezzo agli studi più gravi, e con salute vacillante, fosse per il Giordani un sollievo lo studiare le greche lettere non che i Latini, gl'Italiani, i Francesi e gli Spagnoli scrittori, facendo di tutti suo prò. Però se gli era indifferente la lettura di qualunque opera avesse potuto arricchire la sua mente di utili cognizioni; lo allettava non pertanto sopra ogni altra quella delle Storie: e di tale materia studiò infiniti volumi senza esserne sopraffatto dalla moltitudine, ne turbato dalla difficoltà di ritenerne i fatti. Imperocchè egli ebbe da natura questo di meraviglioso di essere cioè prestante per l'ingegno e ad un tempo per la memoria. Per la qual cosa letto che aveva il Giordani una volta alcun libro, questo gli riusciva affatto inutile, perchè nulla più gli sfuggiva delle cose che aveva lette.

Terminato il corso filosofico, giovandosi del consiglio del suo cugino Luigi Uberto Giordani, altro decoro della nostra Parma, si diede alla Giurisprudenza. Ma applicandosi a quella scienza non si contentò già di conoscerne materialmente le leggi. Esso volle investigarne le origini, consultarne le migliori interpretazioni, scioglierne le difficoltà, scoprirne i punti più astrusi e conoscerne le relative materie tanto antiche che nuove. Nè si creda che per nuovi studi lasciasse mai quelli a lui prediletti di lingua, e di storia; perchè in pari tempo, e sempre per sollievo, volgarizzò con somma accuratezza alcuni luoghi scelti dal greco testo di Tucidide, di Plutarco, d'Isocrate e di Demostene; sì addentrò nello studio della lingua Francese e Spagnola studiando gli Scrittori più celebrati; e si andò perfezionando per modo nella lingua Italiana, studiando gli scrittori del ‘300, da esserne maestro ancora giovanetto.

Finito il suo corso di giurisprudenza e sostenuti gli esami con lode somma, fu promosso alla laurea in ambe le leggi dal suo Professore Luigi Uberto Giordani il 20 Luglio 1795; e in tale circostanza onorando esso il suo candidato con bella orazione latina, lo preconizzò, veridico profeta, futuro onore di tutta Italia. Conseguita la laurea ritornò Pietro in famiglia; ma non accomodandosi alle esigenze de suoi genitori vi sì tenne solo ad intervalli, recandosi spesso a Parma, ove una segreta simpatia e una cara amicizia lo attiravano. In questo frattempo il Giordani cercò un impiego; ma perchè lo chiese senza vigliacche umiliazioni e senza protezioni, nulla potè ottenere: cercò persino di collocarsi presso una civile e ricca famiglia come segretario e neppure vi riuscì: per la qual cosa sdegnatosi del mondo che gli negava modo di guadagnarsi il pane col lavoro, decise di imitare suo fratello e di farsi monaco per darsi allo studio. Non si opposero i suoi Genitori a questa risoluzione perchè desideravano di aver tutti i figli in Monasteri: nè valse che il Leone Sopransi protestasse loro non poter Pietro esser monaco per la sua indole cotanto vivace: i genitori del Giordani desiderando fermamente di vederlo monaco non si ristettero dal lodargli i vantaggi della vita monastica finchè non ebbe vestito l'abito Cassinese in San Sisto di Piacenza. In qual tempo entrasse in detto Monastero non mi è noto ancora; ma credo fosse nel 1 Gennaio 1797: solamente sò che vi pervenne presto al diaconato, che vi si tenne tre anni e che ebbe a sopportarvi lunghe molestie dai suoi superiori. In una lettera scritta dal Giordani al Padre Priore Don Remigio Crescini a Parma in data 10 Giugno 1798 si lagna infatti che i suoi superiori cerchino di screditarlo chiamandolo un matto inquieto, un giacobino; si duole dicendo di non credere giusto nè sopportabile che il superiore non faccia giustizia uguale tra i forti e i deboli; e si mostra sdegnato dell'essersi udito chiamar indegno di dir messa, mentre ciò si era concesso a chi aveva voluto strozzare il suo priore. Perciò è da credersi che non trovando pace nè giustizia neppure in quel religioso ritiro, si determinasse ad abbandonarlo nel 1800, (credo due giorni dopo la famosa battaglia di Marengo) per studiar forse in quel momento della più turbinosa commozione d'Europa, gli allettamenti e le tempeste della vita pubblica.

Abbandonato il monastero in compagnia di un amico, dal quale presto si divise, volse i primi suoi passi verso la Toscana, fermandosi qualche tempo. Pare che la disimpegnasse per qualche tempo l'incarico di Segretario presso chi governava all’ora quel paese a nome di Francia. Ma stancatosi ben presto di quella vita l'abbandonò, passando a Firenze, quindi a Bologna, poscia nelle Marche, ove incominciò la sua carriera letteraria. Dal 1806 al 15 trascorse la vita occupandosi delle maggiori sue opere letterarie, passando spesso di città in città, ove la voce degli amici e il voto dei suoi ammiratori lo chiamavano; ove un’avidità irrequieta di conoscere gli uomini e le cose grandi di continuo lo trascinava. Però Cesena lo accolse per due anni e scrisse per l'Accademia di quella città il Panegirico a Napoleone e l'Elogio di Niccolò Masini. Bologna ove fu nominato pro segretario di quell'Accademia di Belle Arti nel 15 Maggio 1808 lo ebbe nel suo seno sino all'Agosto del 1815 e vi scrisse in quel frattempo, l'Elogio del Martinelli, l'Orazione per la Milizia Civile di quella Città, la lettera ed il Panegirico a Canova, la lettera colla quale celebrò al Monti il merito poetico dell'Illustre Conte Giovanni Marchetti, le esequie del Galliadi, il discorso sui dipinti di Landi e di Camuccini, il discorso sulle pitture d'Innocenzo Francucci da Imola, l'Elogio della Giorgi, le Orazioni per le legazioni riacquistate dal Papa e la lettera a Monsignor Giustiniani che fu cagione che il Giordani rinunziasse al suo posto di pro segretario, e si disponesse a recarsi altrove.


scuole e rione Giordani a Piacenza, veduta del 1900

Nel 1816 fermate le cose d'Europa, e fondatosi in Milano dal Conte di Saurau, Governatore di Lombardia, il giornale la Biblioteca Italiana; fu il Giordani invitato a scrivervi con Monti e con Breislak. Aderì il Giordani a quella seducente proposta, e recatosi a Milano si pose all’opera, lavorando con amore caldissimo pel vero progresso della letteratura Italiana, quanto per l'onore di quel Giornale: ne sono testimoni i venti e più articoli di lui inseriti in detta Biblioteca nel 1816 e 17. Se non che la severa critica e l'imparziale suo giudicare avendo smascherate certe rinomate nullità, queste gli suscitarono contro l'astiosa bile di alcuni bottolucci ringhiosi dei quali però non si prese pensiero alcuno. Ma lo scritto che gli cagionò più molestie fu quello contro lo Sgricci e gli improvvisatori composto per ordine del Conte di Saurau. Dapprima censurato dal Carpani, lo fu poscia da altri, e per ultimo dall'Acerbi, il quale non ignorava avere il Giordani dettato l'articolo contro lo Sgricci, ad istanza del conte di Saurau, con minaccia, perchè recalcitrante, di essere escluso dal Giornale e dalla Lombardia se non lo scriveva. Narra il Giordani stesso come l'Acerbi investitolo un giorno con brutale insolenza lo rimproverò aspramente che nulla sapeva, che niente aveva letto, che falsamente aveva scritto del Galilei, ingiustamente degli improvvisanti, che aveva oltraggiata la gloria d'Italia: solo il più delirante sdegno poteva osar tanto! Per tale eccesso impudente, perduta il Giordani la pazienza, rispose condegnamente a colui, con quello stupendo sdegno, che senza forza materiale imponeva più di quello di un’atleta; e confuso quell'insolente abbiettissimo quanto meritava, da quel momento esso ed il Monti abbandonarono la Biblioteca Italiana. Ma l'articolo Sgricciano non suscitò contro di lui la sola collera del Carpani e dell’Acerbi: gli procurò anche di lontano un demerito presso Leopoldo secondo di Toscana fortissimo ammiratore dello Sgricci.

Annoiato perciò anche delle gare giornalistiche, e voglioso di esercitarsi nei suoi studi prediletti, saputo essersi resi vacanti in Parma, la Cattedra di Greco ed il segretariato dell'Università per la morte di Angelo Mazza; con sua lettera del 17 Maggio 1817 chiese l'una e l'altro al Barone Ferdinando Cornacchia, Ministro a Parma. Saviamente e meritamente chiedeva il Giordani dicendo a lui che credeva amico “Se avete soggetto più degno, io non voglio certamente che alcuno mai potesse accusarmi d'impudenza nell'accettare; e un tale mio amico di poca prudenza ed equità nel concedere. Tra i minori o gli eguali di merito non vi sarà di biasimo il favor dato a un amico antico”. Ma il Cornacchia conoscendo l'indole del Giordani abborrente da ogni vincolo che solo per ombra impedisse la libertà delle sue azioni e delle sue parole; e temendo più del giusto che per ciò avessero potuto rimaner presto abbandonati dal Giordani, quegli impieghi ed esso Ministro fare così non buona figura colla Corte, dalla quale aveva istruzioni in proposito, diede senz'altro la Cattedra di Greco all'Abate Smeraldo Benelli, il segretariato dell'Università all'Avv. Luigi Bramieri. Delusa indegnamente l'aspettativa del Giordani si recò allora in Toscana. Là scrisse il suo discorso sulla vita e sulle opere del Cardinal Sforza Pallavicino, quello sulla Carità sculta dal celebre Lorenzo Bartolini, l'altro sulla Pittura in porcellana, la Lettera al M. Gino Capponi sopra la scelta dei prosatori Italiani; quello sulla Psiche dell'esimio Tenerani, non che altre minori scritture pel Giornale l'Antologia e per altre circostanze. Nel 1824 recatosi in patria con intenzione di rimanervi, vi istituì una Società di Lettura, la donò di molti libri e denari, e scrisse per essa vari discorsi che suscitarono contro lui non poche inimicizie. Dapprincipio lo molestarono essi con segrete maldicenze: e preso pretesto di poi da una sua prefazione ad una raccolta di versi in lode di Monsignor Loschi vescovo di Piacenza, lo accusarono al Conte di Neipperg di aver detto male della Duchessa di Parma e dei suoi alleati.

Quegli creduta l'accusa senza verificarla fece un decreto a nome della Duchessa pel quale Giordani fu il 6 Luglio spinto fuori della sua patria in mezzo ai Gendarmi. Il vero però fu presto noto a quel savio Ungherese, e fatto rivocare il decreto, fu il Giordani richiamato in Patria. Esso però non mosse alcun lagno contro il Governo in quella circostanza. Sapendo la vera cagione di quella immeritata iniquità: tuonò contro la turba che aveva ingannata la Corte di Parma, e unicamente per sdegno contro quella scriveva al Presidente della Società di lettura in Piacenza di aver deposto il nome di Piacentino, di aver fatta sua patria di affezione Firenze, e di essere grato a Parma, dove tanto universale grido si alzò vendicatore della giustizia e dell'onore suo. E forse memore di questa dimostrazione, allorchè nel 1830 fu per errore espulso dalla Toscana se ne venne a Parma, ove vivendo allora tanti illustri Italiani, primi dei quali erano un Toschi un Tommasini un Pezzana un Colombo ecc. sperò trovar quiete frà quei degni Amici. Che dopo le commozioni politiche del 1831, mandato dalla Polizia di Milano a Parma Odoardo Sartorio ove fu posto Capo alla Direzione generale di Polizia: fosse per istruzioni avute, o per odio al Giordani, certo è che appena fu al potere non tralasciò pretesto o mezzo che valesse a molestare il medesimo. Se ne lagnò questi coraggiosamente al Mistrali in occasione che fu proibita in Parma la diffusione di una parte del suo bellissimo scritto sullo Spasimo di Raffaello inciso maestrevolmente dal celebre Paolo Toschi. Solamente la sera del 19 Gennaio cessarono pel Giordani le molestie del vivo Sartorio, essendo stato questi in modo incredibile pugnalato mentre si recava al Teatro. La gioia di veder purgata la terra da un mostro tanto odiato, e tanto funesto a lui e a Parma, incitò il Giordani a scrivere al Sig. Antonio Gussalli a Milano una lettera. Fatalissima lettera! ..Essa non fu veduta da anima vivente in Parma; ma in Milano fu copiata e diffusa; molto se ne parlò, con gran rincrescimento del poliziotto Torresani, e del fiscale Zaiotti; i quali un mese dopo domandarono a Parma la prigione e il processo di Pietro Giordani.


Parma 1898 - ingresso alle carceri e chiesa S. Francesco in Prato

L'inchiesta fu seguita dalla prigionia che durò 88 giorni, e i processi furono due: il primo onesto di 5 giorni; del secondo (che durò 10 giorni) mandò sciocche interrogazioni il Zaiotti; alle quali con arditissime derisioni rispose il Giordani. Finiti gli esami non finirono però pel Giordani le misure di rigore. Fù tenuto tuttavia alle segrete, gli fu ritardata la biancheria, tardato diciotto giorni il permesso di respirar l'aria in un angusta cella e negata persino la diaria del Governo, onde fu costretto a mantenersi per alcun tempo del proprio. L'Egregio Avvocato Lazzaro Uberto Cornazzani cercò ed ottenne per primo di visitarlo; ma dopo lungo supplicare e sottostando all'umiliazione di esservi accompagnato dal delegato alla Pulizia che per buona fortuna era allora l'onesto ed amatissimo Cav. Ottavio Ferrari. Contro l'iniquità della sua carcerazione, del carcere segreto dopo gli esami, e della non data diaria ben scrisse energicamente al Maggiordomo della Duchessa di Parma il 30 Marzo del 1834 ma senza alcun prò. Solo per le vivissime istanze fatte a Vienna dal Celebre Prof. Giacomo Tommasini presso un autorevole Scienziato di quella Capitale, uscì di Carcere il 26 Maggio, assoggettato però a molti divieti! Da quel momento in poi non ebbe più molestie dal Governo; ma tentarono recargliene i Gesuiti, delle quali sempre si rise: solo contra una loro calunnia. Portò querela al Bombelles, la quale è inutile che io dica essere rimasta senza effetto. In seguito la vita del Giordani trascorse fra le care sue fatiche letterarie.

Fra le prime sono da ricordarsi la lettera al Sig. Raffaele Caraffa in morte della Bianchina Sforza, le stupende traduzioni dal Beverini, la lettera sugli Asili d'Infanzia al Cav. Nicolò Puccini, e quella parte d'illustrazione della gigantesca opera del Toschi; La incisione di tutti gli affreschi del Correggio e del Parmigianino, che varrebbe da sola a far immortale il nome di quel sommo artista: da ultimo, per tacere di molti altri suoi nobili lavori, scrisse il suo eruditissimo Proemio al terzo volume delle opere di Giacomo Leopardi. Ma dopo una gita fatta a Piacenza nell'Autunno del 1846, insieme alla salute ricevette il Giordani un mortal colpo anche al morale. Ritornato a Parma ammalato e come smemorato fu affidato alle premure le più vive del celebre suo amico Giacomo Tommasini. Ma, o sia che per lo stato di abbattimento morale non apprezzasse il Giordani le sincere premure di quel medico sommo;o sia che per la poca fiducia che aveva nell'arte medica fuggisse dall'assoggettarsi ai consigli del Tommasini, certo che resistendo a rifiutare le medicine e le cacciate di sangue da lui ordinategli deluse in gran parte il buon esito che da quelle sperava l'ottimo suo amico. Pur si rimise alquanto e visse in apparente salute. Dico apparente, perchè da molti anni una tormentosa fitta lo impediva spesso da ogni moto, ora lo tormentava per più volte al giorno. Del quale fenomeno chiesta spiegazione all’esimio Dott. Rebasti di Piacenza anni prima, non ebbe risposta. Lo stato precario della sua salute ponendo i suoi amici in timore di perderlo senza che nulla rimanesse di lui fuorchè le opere e la fama immortale, indusse il suo amico Salvatore Tarchioni a chiedergli nel Giugno 1847 il permesso di far scolpire dal giovane Carlo Luigi Fava il suo ritratto in marmo.


busto del Giordani eseguito da Carlo Luigi Fava 1847

A ciò lo spinse anche il timore che l'unico ritratto del Giordani fatto dal celebre Professor Toschi e consegnato alla Marchesa Rosa Poldi Trivulzio di Milano fosse andato perduto o guasto nei trambusti di quella Città. Ricusò il Giordani di cedere a quella inchiesta, ma avendogli fatto conoscere l'amico come il suo rifiuto recasse danno gravissimo al Fava nell'interesse e nell'arte, allora si arrese il Giordani, e permise che gli fosse fatto il ritratto, unicamente per far cosa utile a quel bravo giovane: concesse all'esordiente scultore ciò che aveva negato al Canova. La sera del 1 Settembre fu al suo solito in casa dell'Illustre suo amico Cav. Paolo Toschi, e insieme a scelti amici convenenti abitualmente a serali crocchi presso quell'esimio artista parlò a lungo e di varie cose col più gaio umore; ma si aggirò colle sue parole sul sommo sapere del celebre Plana, del quale ricevuti aveva quella sera dal Toschi gli amichevoli saluti. Così le ultime parole del più grande scrittore Italiano furono l'Elogio del più grande Astronomo e Matematico vivente. Ritornato a Casa s'intrattenne per un quarto d'ora coi coniugi Foriel che da più anni lo ospitavano come amoroso fratello, e verso le dieci e mezza si pose in letto. Ma dopo tre ore di sonno una tosse convulsa lo desta, la solita punta lo opprime nell'atto che scende dal letto spintovi da speranza di sollievo; e tanto appena di forza gli lascia da mandare un acuto lamento; il Foriel a quel grido accorre dalla stanza contigua in quella dell'ospite Giordani vedendolo fuori del letto e immobile lo abbraccia, ma esso stringe un cadavere.. l'anima di quel grande era gia ita colà, ove nè l'ira stolta nè la vile invidia saranno giudici mai.

Saputasi la morte del Giordani Parma tutta ne fu commossa, e se non fosse stata, com'è tuttora, oppressa da pubbliche calamità, avrebbe doppiamente dimostrato quanto amasse e riverisse quel grande. Non pertanto la mattina del giorno 4, allorchè fu trasportato il suo cadavere dalla casa alla Chiesa, situate ambe sulla strada maggiore della città, un addensato stuolo di popolo stava schierato lungo essa strada sino alla Piazza. A lato della Bara erano quattro Professori; seguivano il convoglio il Magistrato degli studi (del quale il Governo Provvisorio di Parma aveva nominato il Giordani Preside onorario nel 1848), il Corpo Accademico, il Consiglio Municipale, il Corpo degli Avvocati e dei Notai, lo Stato Maggiore e l'ufficialità della Guardia nazionale, un numeroso drappello di Guardie nazionali in uniforme e da ultimo i fanciulli componenti la Legione della Speranza, colla loro tricolore Bandiera, onoranti l'estrema dipartita del più sincero propugnatore della loro civile e veramente Italiana educazione. Dopo le consuete cerimonie l'Esimio Avv. Lazzaro Uberto Cornazzani Cugino ed intimissimo amico del Giordani, lesse dal pergamo un'affettuosa e dotta orazione, nella quale toccò distesamente della sapienza e delle virtù del Giordani con quel tatto sicuro che poteva avere un uomo, il quale alla scienza propria accoppiava l'intima conoscenza della vita domestica, civile e letteraria del Giordani. E perchè a molti non parve credibile; e del castigato stile, e per l'accuratezza della detta Orazione, che fosse opera di un giorno; dichiaro come vuole giustizia essere ciò la verità essendone stato io stesso testimonio; e mi duole assai che il prelodato Sig. Cornazzani sia risoluto di non stampare quella sua Orazione e tolga così agli assennati che non l'udirono il piacere di apprezzarne l'eccellenza. (Pietro Giordani, Piacenza 1 gennaio 1774 – Parma 2 settembre 1848).