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Rino il Grino

“racconto di Ermanno Mariani”

Se si escludevano i tossicodipendenti e qualche vecchio barbone, Rino il Grino era certamente fra i dieci peggiori dell'intera città e probabilmente rientrava nei primi venti se si aggiungeva la provincia. Rino il Grino non aveva ancora trent'anni eppure ne dimostrava già quaranta. Era grosso, strabordante e sfatto, quasi pelato, le dita delle mani grosse come cotechini, il faccione sempre teso in una smorfia di spregio che prendeva la forma di uno sprezzante sorrisetto di superiorità. Rino il Grino era davvero convinto di essere superiore a molti altri.
Rino il Grino era disoccupato cronico, tuttavia tentava sempre di darsi un tono manageriale indossando giacca e cravatta in tinta abbinata con i pantaloni. Purtroppo spesso i pantaloni erano bisunti, sotto le ascelle la camicia era sempre fradicia di sudore e il nodo della cravatta era regolarmente storto. Forse quando usciva di casa, Rino il Grino, per qualche istante, se visto da lontano, poteva apparire quasi in ordine, ma dopo pochi movimenti, i pochi capelli che gli erano rimasti, nonostante li impataccasse con la gommina formavano ridicoli corni sulla sua testa, la camicia gli usciva dalla circonferenza della cintura dei pantaloni in vari punti, le calze gli scendevano sotto le caviglie e i pantaloni, nonostante fosse grosso, gli scendevano di due o tre pollici dal cavallo formandogli una ridicola pabia, proprio sotto il sederone. Rino il Grino era un barflay, cioè un autentico moscone da bar. Trascorreva infatti tutte le sue giornate al bar dove effettivamente esercitava una sorta di superiorità sugli altri avventori.
Rino il Grino era il più bravo con le carte, vinceva e si manteneva con il gioco, teneva sempre un comportamento da perfetto sbruffone che gli dava un certo tono. Era inoltre il più bravo di tutti nell'infiorare con gli aggettivi più originali le bestemmie e a comportarsi nel modo più volgare possibile, senza però mai scomporsi e tenendo sempre quel suo atteggiamento di superiorità. Scoreggiava sonoramente, ruttava senza ritegno e nessuno osava ridergli in faccia. A chi lo guardava per un attimo negli occhi, nel tentativo di cercare una spiegazione, diceva in dialetto: "E figa! Ho mangiato il rognone con il sugo!". Ciò avveniva se aveva ruttato, se aveva scoreggiato, sorrideva sprezzante, scoreggiava ancora e aggiungeva: "Parché as po mia?". Rino il Grino era anche campione dell'insulto, quelli che giocavano al suo tavolo, perdevano con regolarità sorprendente ed inoltre venivano umiliati ed insultati senza pietà e con una certa genialità che dimostrava come vi fosse in lui un'attitudine ed un allenamento all'insulto senza pari.
Rino il Grino vantava addirittura degli imitatori, nel bar alcuni ragazzotti più giovani si atteggiavano come lui, usavano il suo stesso volgare linguaggio e si cimentavano ai tavoli da gioco; ma nessuno poteva competere con Rino il Grino e tantomeno ai tavoli da gioco, Rino aveva esperienza, intuito, capacità. La fortuna per lui contava poco, alla fine del mese portava sempre a casa una certa somma di denaro. A volte capitava anche che portasse a segno il colpaccio. Una volta in due serate rovinò uno sciocco manovale quarantenne con moglie e tre figli a carico, vincendogli quaranta milioni a chiusura, giocando un milione a punto. Ma Rino il Grino a suo modo sapeva essere brillante, incassò dieci milioni subito e si fece inviare assegni per cinquecentomila lire ogni mese, soltanto per un annetto, poi disobbligò generosamente il suo debitore. Con quei dieci milioni festeggiò con qualche puttana, si comprò patente e una grossa Volvo usata che ammaccò quasi subito su due portiere ed un paraurti, dopo soli venti giorni distrusse completamente l'automobile andando a schiantarsi contro un palo. Anche Rino il Grino aveva un suo modello da imitare, questi era Nunzio, quarantenne nullafacente, dai modi simpatici ed affabili, mantenuto da una vedova miliardaria. Nunzio nella vita non aveva mai lavorato, era di bell'aspetto e sempre elegantissimo, ma non di un elegante pacchiano o noiosamente classico, la sua era un'eleganza sportiva, sobria, ben abbinata nei colori, di ottimo gusto, senza troppo badare alla moda, ma senza ignorarla del tutto. Al bar, Nunzio era quello che tutti gli avventori avrebbero voluto imitare. Si raccontava che Nunzio era andato con tantissime donne, giovani studentesse, commesse di eleganti negozi del centro, casalinghe sposate e con prole, infermiere, professoresse, si mormorava anche il nome di qualche famosissima diva del cinema ed anche donne il cui nome era innominabile in città, perché spose di personaggi che rivestivano importantissime cariche. Nunzio portava lunghi capelli di colore nero blu certamente tinti, ma facevano la loro figura. Nunzio aveva il volto sempre abbronzato, un'abbronzatura da lampada, ma faceva la sua figura. Spesso al collo portava un foulard di seta ricco di variopinti colori. Fumava sigarette con il bocchino d'argento per non rovinarsi gli splendidi denti bianchissimi e giocava tutto il giorno a carte, ma non era bravo come Rino il Grino. Rino il Grino a carte era insuperabile. Rino il Grino a differenza del suo amico Nunzio doveva sempre andare a puttane per poter stare con le donne, il suo pessimo aspetto e i suoi modi volgari gli rendevano assai difficile l'approccio con l'altro sesso. Rino il Grino, come il suo amico Nunzio, detto Furbunzio, non si alzava mai dal letto prima di mezzogiorno e appena in piedi si dirigeva frettoloso al bar dove iniziava a giocare e vinceva. Interrompeva per la cena e riprendeva subito dopo continuando a giocare fino alle due o alle tre del mattino, insultando a più riprese il barista quando tentava di chiudere il bar. Un grande vantaggio di Rino sugli altri giocatori era dovuto al fatto che lui dormiva fino a mezzogiorno ed era quindi sempre abbastanza fresco, mentre le persone che giocavano con lui lavoravano quasi tutte, al mattino le attendeva una levataccia e ad una cert'ora della sera avevano i riflessi assai appannati ed era facile coglierli in fallo con le carte. Una sera Rino il Grino aveva davvero mangiato molto e arrivò piuttosto in ritardo al bar, rispetto ai suoi soliti orari. Il gippone di Nunzio era già parcheggiato davanti al bar. Subito chiamò con quella sua gran voce cavernosa il barista, ordinandogli due cappucci e tre brioches.
"Sì, Rino, subito". Disse ossequiosamente il barista, Rino era la sua maggior fonte di guadagni, nessuno consumava nemmeno la metà di quanto consumasse lui. "Non ho mangiato un cazzo stasera". Commentò Rino il Grino, quasi a cercare una sorta di giustificazione alla sua grande ordinazione. In quella entrò nel bar un negro elegantemente vestito, una lunga cicatrice gli attraversava la parte destra del volto. Rino il Grino ruttò sonoramente, agguantò uno stecchino e cominciò a rigirarselo fra i denti, poi senza togliere gli occhi di dosso al nuovo venuto ordinò un'aranciata doppia. Il negro si mescolò con gli altri avventori del bar e si mise come molti di loro ad osservare i giocatori seduti ai tavoli. Rino il Grino si sedette ed iniziò una lunga partita a ramino. Più tardi si liberò una sedia vicino ad un giocatore ed il negro con un accento marcatamente francese, gentilmente, domandò se poteva sedersi; un grugnito di Rino fu il consenso a quella richiesta. Il negro poteva osservare dalla prima fila i giocatori, estrasse dalla tasca della giacca un portasigarette d'argento, ne prese una e l'infilò fra le labbra, poi l'accese con un accendino d'oro, in quel movimento aveva lasciato intravvedere un grosso bracciale d'oro che portava al polso. Rino non si era perso nulla, con un occhio guardava ogni movimento del negro e con l'altro seguiva la sua partita mentre con una mano teneva le carte e un cornetto colante gelato, con l'altra stringeva un fazzoletto untuoso con il quale si tergeva la fronte bagnata di sudore. La sera seguente il negro dall'accento francese domandò ed ottenne il permesso di giocare al tavolo insieme a Rino, Nunzio e altri due incalliti giocatori. Mentre Rino il Grino stringeva le carte e ingurgitava due cappuccini, tre brioches, una Coca Cola, due pacchetti di Rodeo, un'altra brioche, due Mottarelli, un Pinot e una pizzetta vecchia della mattina e tristemente riscaldata, il tutto incorniciato da una serie di rutti incontenibili, il negro gentile ed affabile, sempre con un sorrisetto beota sulle labbra che stringevano l'immancabile sigaretta, perdeva due milioni di lire. Prima di alzarsi tolse dal portafoglio quanto perso e saldò senza commenti, sulle sue labbra il solito sorrisetto. Rino prese lentamente i soldi e ruttò ancora una volta, si accese una sigaretta e mentre s'infilava in tasca la sua parte di vincita osservava ostinatamente il "francese". La sera seguente il negro perse ancora più o meno la stessa cifra. La terza sera ci fu zuffa e parapiglia fra gli avventori del bar, tutti volevano giocare con il nuovo venuto: "Il pollo negro dall'accento francese e le uova d'oro". "Oh no, no! Questa sera con il francese ci gioco io". Ululava un vecchiaccio con gli avambracci tatuati, un malvissuto, impenitente giocatore. Quando il negro puntuale come al solito, alle ventuno e trenta, faceva il suo ingresso nel bar, tutti si quietavano come tanti scolaretti quando il maestro entra in classe e silenziosi riprendono il loro posto. Rino riusciva, comunque, sempre ad arraffarsi un posto all'ambito tavolo dello sciocco negro. Le cose continuarono così per circa una settimana. Tutti si rimpinzavano le tasche alle spalle del negro il quale giocava a chiusura e ramino come un vero gonzo. All'ottavo giorno il vento cambiò ed il negro, in una sola sera, vinse quanto aveva perso in una settimana; la serata seguente addirittura andò in forte vincita, incassando, senza batter ciglio, quasi trenta milioni; il sorriso beota era scomparso dal suo volto per lasciare posto ad una smorfia sprezzante. Anche il modo in cui maneggiava il mazzo di carte appariva diverso, più veloce, più deciso, più preciso. Tutti adesso lo osservavano con gran rispetto e con gran stupore. Rino il Grino osservava il negro con gran sospetto. La sera seguente il negro dall'accento francese riapparve al bar per l'ultima volta; quando entrò il solito mormorio di sottofondo cessò per lasciare posto ad un significativo silenzio. Tutti guardavano diffidenti il negro, questi con un sorriso beffardo si sedette ad un tavolo e cominciò a grattarsi la lunga cicatrice. "Qualcuno vuole giocare?". Domandò mentre maneggiava un mazzo di carte. "Ehm, io ho un appuntamento" disse una voce. "Eh? Ah, già, anch'io ora che mi ricordo" seguì un'altra voce. Tutti sfrecciavano in qualche buco a rintanarsi come topi spaventati dall'arrivo di un furbo gatto. Fu così che quella sera Rino il Grino, anche solo per pochi minuti, smorzò la sua perenne smorfia di spregio e il sorrisetto di disprezzo misto a superiorità per osservare ad occhi spalancati il negro mentre maneggiava le carte con una disinvoltura qualche giorno prima inimmaginabile. Il mazzo di carte diventava, nelle sue mani, una fisarmonica che si apriva e si chiudeva a suo piacere, quasi a voler spander dolci note e ancora le carte si muovevano con una rapidità stupefacente. I quadri e i picche volteggiavano ordinatamente nell'aria come per magia, mentre i fiori e i cuori apparivano e scomparivano ad ogni minimo movimento del negro che intanto continuava a sorridere con superiorità. Soltanto qualche giorno prima muoveva le carte come un paralitico. Agli altri toponi del bar, con Rino il Grino e Furbunzio in testa, non restò che inghiottire l'amaro rospone. Poi il negro si alzò riprese quel suo modo di fare affabile e il sorriso beota, s'infilò una sigaretta fra le labbra e mentre usciva dal bar disse con quel suo accento francese: "Au revoir a tutti cari amici" e scomparve nella notte; nessuno degli avventori di quel bar lo rivide mai più. Per qualche sera si commentò ancora l'episodio del negro francese, si disse che era un vero diavolo di professionista, si seppe anche che alloggiava all'albergo N. poco lontano dal bar e che ora era a Cremona a giocare in un altro bar e che avrebbe girato tutte le città d'Italia in questo modo. Poi rapidamente il fatto fu dimenticato, nessuno osò più rinverdirlo a Rino, il quale aveva perso più di tutti. Anche Nunzio aveva perduto con il negro, ma si consolò fra le braccia di una nuova conquista, una giovane e bella donna che lavorava nel negozio di profumi accanto al bar, appena sposata ad un ricco, grasso, brutto, avaro e cattivo commerciante.
Rino il Grino, invece, accentuò il suo sprezzante atteggiamento di superiorità.
“racconto tratto dal libro Lungo la via Emilia, editore blu di Prussia 1984”



i giocatori di carte 1890, di Paul Cézanne


vecchie carte piacentine con figure a testa singola