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il Castello di Gropparello

Cenni Storici:
A circa 27km da Piacenza e posto in cima ad uno sperone roccioso, troviamo il Castello di Gropparello su uno strapiombo che domina il torrente Vezzeno, formando un orrido di circa 85 metri di altezza, rendendo il castello praticamente inespugnabile nei secoli. Il castello di Gropparello, noto anticamente come “rocca di Cagnano”, è un caratteristico esempio di opera fortificatoria medioevale posta a difesa della via di accesso ad una valle, concepita come un vero nido d’aquila a picco sul dirupo, e quindi assolutamente inattaccabile. Il più antico documento finora conosciuto su Gropparello risale all’anno 810, ed è l’atto con cui l'imperatore Carlo Magno concede il luogo in feudo all’allora vescovo di Piacenza Giuliano II. Si ritiene che la fortificazione di epoca carolingia sia stata edificata, come avveniva spesso, su una primitiva fortificazione romana, forse una semplice torre di guardia od un “castrum” del III - II secolo A.C. All’epoca delle lotte tra Guelfi e Ghibellini; il castello, in mano alla parte guelfa viene in diverse occasioni e con alterna fortuna attaccato dalle forze ghibelline. Agli inizi del '300 Gropparello era in mano alla potente famiglia guelfa dei Fulgosio, probabilmente per lascito dell'allora vescovo di Piacenza Filippo Fulgosio. Nel 1599 Ranuccio I Farnese, signore di Parma e Piacenza, rientrato in possesso del feudo di Gropparello, ne investe con il titolo ereditario di “conte di Gropparello” Marcantonio Anguissola, suo uomo di fiducia, che aveva tra l'altro ricoperto la carica di governatore della val di Taro. Nel 1848, con la morte di Gaetano Anguissola, si estingue questo ramo della famiglia; il castello, posto in vendita insieme ad altre proprietà, passa un periodo di grande decadenza in cui viene anche utilizzato, analogamente ad altri castelli della zona, come edificio rurale. Viene acquistato nel 1869 dal conte Ludovico Marazzani Visconti Terzi, (appartenente ad un ramo della famiglia proprietaria di Grazzano Visconti), che incarica un famoso architetto piacentino del tempo, Camillo Guidotti, di un completo restauro dell’antico edificio. Con il '900 il castello passa in mano a vari proprietari, e, dopo un lungo periodo di abbandono, viene acquistato nel 1994 dagli attuali, che hanno fatto la propria abitazione, promuovendovi però anche numerose iniziative affinché tutti coloro che amano la storia e l'arte possano godere del fatto che un edificio di questa importanza torni a "vivere".

Generalità sulla Struttura:
Il castello di Gropparello rimane forse uno dei complessi che più conservano tutto il fascino della fortificazione medioevale, grazie anche al paesaggio eccezionale in cui si trova, ed alla particolarissima disposizione, che lo fa apparire quasi incastonato nella roccia, di origine vulcanica, su cui è stato edificato. Le fondamenta su cui poggiano i muri in pietra sono scavate nella viva roccia, che in molti tratti è tuttora ben visibile anche all’interno dell’edificio, fuoriuscendo dal piano del pavimento in molti tratti delle antiche cantine. L’accesso alla fortezza era possibile solo attraverso i due ponti levatoi, uno “carrabile”( tutt’oggi funzionante), che veniva abbassato soltanto per il passaggio di uomini a cavallo o carriaggi militari, ed uno pedonale. Il portone principale è sormontato da un interessante bassorilievo rappresentante San Giorgio nell'atto di colpire il drago che stava per divorare la giovane principessa, secondo la nota leggenda che ha ispirato molti artisti medioevali e rinascimentali.

Cortile Centrale:
Il cortile centrale è uno dei luoghi più suggestivi e interessanti della costruzione; proprio da qui è possibile comprendere la logica difensiva dell’antica fortezza medioevale, dominata dalla possente mole centrale del mastio, costruito su una massa rocciosa che si sopraeleva di una decina di metri dal piano del cortile. Ben lungi dal tradizionale cortile geometrico regolare di concezione bramantesca, con vari ordini di loggiati (che richiederebbe tra l’altro un terreno pianeggiante e regolare), presenta una forma irregolare vagamente triangolare, che è sostanzialmente la forma dello sperone roccioso, appena adattata alle esigenze costruttive. Agli interventi neogotici si deve l’assetto evidentemente scenografico della facciata con l’intonaco a strisce ed il balconcino, chiaramente allusivo alla famosa scena di “Giulietta e Romeo” tanto cara appunto al romanticismo neogotico. Dal terrazzo alla sommità del mastio lo sguardo può spaziare, in direzione nord-ovest, fino alle prealpi venete; Si può osservare inoltre dall’altro lato del dirupo un roccione tronco-conico (curiosamente denominato nella tradizione locale la "tomba di Garibaldi") che è stato riconosciuto, in base a certe caratteristiche ed alle analogie con strutture similari, come luogo di culto di antiche popolazioni di razza celtica.

Le Sale:
Tra gli ambienti interni, particolarmente interessanti una sala da pranzo risalente all’epoca di Marcantonio Anguissola (fine cinquecento), che conserva elementi architettonico-decorativi tra i più significativi del periodo, come il monumentale camino, con ricche decorazioni a stucco di ispirazione mitologica, e la camera detta “camera dell’alcova” per la sua funzione nel XVIII secolo. L’ambiente, costituito da una galleria con soffitto a volta, presenta attualmente struttura architettonica e decorazioni risalenti alla metà del ‘700 in cosiddetto stile “rococò”. L’arco che introduce all’alcova presenta al centro lo stemma degli Anguissola di Gropparello.

La collezione di strumenti musicali:
Grazie all'ottima acustica dovuta al soffitto a volta, l'ambiente è attualmente adibito a sala da musica, particolarmente adatta per la musica da camera, e contiene alcuni strumenti di grande interesse sia dal punto di vista dell’antiquariato che da quello dell’organologia (cioè dello studio dell’evoluzione degli strumenti musicali). Il pianoforte "gran coda" dalle linee raffinate ed eleganti, risale alla metà del secolo scorso (l’anno di costruzione, determinato in base al numero di matricola, è il 1847; è quindi particolarmente antico come pianoforte, visto che normalmente si considera antico un pianoforte della fine dell’ottocento); è stato costruito a Parigi da Pierre Erard (firma intarsiata all’interno del coperchio), uno dei più prestigiosi costruttori di pianoforti dell'epoca. L'arpa risale, invece, alla prima metà del settecento (caratteristica la dimensione, un po’ inferiore rispetto a quella dell’arpa che conosciamo noi oggi, derivante dal più massiccio e sonoro strumento tardo ottocentesco). Da una perizia approfondita sembrerebbe che l’arpa possa essere stata costruita da Sebastian Erard. Lo strumento ad arco può essere definito come “violoncello popolare”. E’ attribuibile all’area bresciano-cremonese e risale probabilmente agli inizi del XVII secolo. E’ stato aperto alle visite anche lo Studiolo da Musica, una Sala da Musica “didattica” dedicata alla musica antica, all’interno della quale sono ospitati un clavicembalo italiano (copia Grimaldi 1697), un arciliuto a 10 cori (copia Matteo Sellas), 2 flauti barocchi diritti (1 soprano ed 1 tenore, copie di stansby) , 1 cromorno soprano ed un cromorno tenore (copie degli originali presenti al Museo di Norimberga), 1 bombarda contralto (copia museo di Norimberga), un liuto popolare a 6 cori, una viella popolare, un’arpa celtica (copia), un trombone barocco di Hass 1820 circa, una ghironda francese a liuto del 1750 circa, 2 tamburi in pelle d’asino di scuola bolognese, 2 triangoli. Della collezione di strumenti presenti nello studiolo, fanno parte anche alcuni strumenti dell’ottocento: un violino e un violoncello di scuola francese del 1870 circa, un mandolino di scuola napoletana costruito da Lindberg a Firenze, un flauto traverso a 6 chiavi in legno di bosso di Majno di Milano; un divertente piano a tavolo meccanico costruito a Vienna intorno al 1820: i piani a tavolo meccanici venivano costruiti su commissione, e servivano per allietare i salotti di conversazione delle famiglie nobili con “musica dal vivo” anche quando in casa non c’era un musicista; infatti la melodia viene creata azionando una manovella che mette in movimento dei rulli rotanti, i quali azionano attraverso delle spine metalliche i percussori che vanno a percuotere le corde vibranti. Questa sala, oltre ad essere usata per le attività didattiche con i bambini delle scuole elementari e medie, può essere anche usata come sala da studio o sala prove ad uso di piccoli gruppi musicali per la musica antica.

L’Orto Botanico e il Museo della Rosa Nascente:
“..La prima volta che abbiamo messo piede nel nostro castello, abbiamo dovuto lottare con coloro che da tempo ormai ne avevano preso possesso. Fu come dover sciogliere un incantesimo: il portone si aprì e ci apparve una costruzione in pietra antica il cui colore andava dal giallo al verde rame fino al blu cupo. L’architettura dell’uomo si arrampicava con i suoi archi, le sue scale, i suoi ponti ed i suoi muri sulla roccia verdastra coperta di muschio. Anche i muri ne erano ricoperti e il tutto si fondeva in un insieme di roccia, pietre e piante. Ricordava quasi il tempio di Salomone, le cui pietre erano state saldate insieme da un fuoco sovrannaturale. Qui il castello pietroso si era fuso con la bocca rocciosa che lo accoglieva a mo’ di castone e proprio dalle fondamenta rocciose salivano tanti filamenti che racchiudevano gelosamente il castello come fosse stato un gioiello prezioso. Come nella fiaba della Bella Addormentata, noi turbammo il sonno del maniero. Così l’edera si ritirò, gli alberi allentarono il loro abbraccio, i fiori riaprirono gli occhi, le finestre sbadigliarono e il fuoco si accese nei camini. Tutto fu toccato e la vita ricominciò, dopo quindici lunghi anni..”

La scoperta dell’Orto Botanico:
Tutto intorno alle mura del castello si conserva quel percorso suggestivo nato come camminamento di ronda dei soldati. Nel 1800, col gusto romantico per il Medioevo misterioso e per la natura selvaggia che sconvolge gli animi, questo percorso carico di fascino venne trasformato in una sorta di percorso interiore le cui guide spirituali sono alberi e fiori. Infatti in questo periodo vennero seminate molte piante medicinali che si aggiunsero a quelle già esistenti, formando un orto botanico spontaneo molto particolare e ricco di suggestioni. La strada si inoltra nel bosco a nord, nella parte buia costeggiata dalla parete rocciosa. Il cammino inizia con l’ammonimento sibillino costituito dalla tacita presenza del ciliegio, che rappresenta la futura beatitudine e contempora-neamente la caducità della vita. Così si scende nel bosco, dove il compito di accogliere il pellegrino è stato affidato al Sambuco e al Pungitopo. Il primo è l’albero abitato dalle fate e dalle streghe, gli spiriti buoni e cattivi che accompagnano la vita umana. Col suo legno si costruiscono però flauti magici contro gli incantesimi nefasti. Il Sambuco rappresenta perciò il problema che reca in sé la soluzione. Il Pungitopo invece è l’amuleto del solstizio invernale, che nel freddo dell’inverno ha il potere di resistere, grazie alle foglie coriacee e intanto preannuncia l’arrivo del nuovo sole coi suoi frutti piccoli e rossi. Il pellegrino procede quindi meditabondo, e incontra svariate piante: l’Eufrasia, erba degli occhi; il Lichene d’Islanda, nutrimento invernale degli animali selvatici; l’Olmo, l’albero del sonno e della giustizia;il Frassino,l’asse del mondo; la Quercia, pianta della sovranità; la Robinia, pianta invasiva; l’Edera, colei che ti cattura e ti rende prigioniero. In questo modo si procede, passando lentamente dal buio alla luce. Dopo innumerevoli pensieri, dopo aver superato la metà del cammino, che corrisponde all’orlo del dirupo e alla parte più bassa,il pellegrino comincia a risalire, ed emerge alla luce come un uomo rigenerato. Qui ormai lo attende la vita, col calore del sole, il lavorio delle api, lo svolazzare delle farfalle e il profumo speziato dei fiori e dei frutti. Ad attenderlo ci sono i Melograni della prosperità, con i fiori a campanula rosso fuoco e i frutti autunnali giallo-arancio, che si spaccano sotto il sole, mostrando i cuori di grani sanguigni. Da sottoterra vigila l’Aglio,il potente amuleto che allontana il male,sia sotto forma di demoni o streghe,sia sotto forma di malattia.Dai margini del cammino spuntano curiosi gli occhi giallo intenso dell’Occhio di Bue,antico colorante dei tintori.Vicino ai fiori dell’aglio fanno capolino i sonnacchiosi Papaveri, fiori del blando oblio che favoriscono la meditazione. Dal pavimento erboso sorride dolce la Malva, simbolo dell’amore materno, col suo effetto calmante e rassicurante. Nella parete inclinata e rocciosa ondeggia l’Avena meditabonda nel vento.Il suo suono è il silenzio primordiale,il suo frutto è l’ antico nutrimento. E dal punto più caldo e soleggiato regna il rosmarino dal profumo stimolante,col timo, la menta e l’origano.Qui vivono anche il giallo Iperico, erba di San Giovanni, la pianta dai fiori sanguinanti,il cui olio è un potente antidepressivo, il Verbasco dalle proprietà emollienti e il sacro Olivo,il più antico simbolo dell’unione fra Uomo e Regno Vegetale. Ecco le Gole che scendono di circa 80 mt sotto le mura del castello, dove il Vezzeno, ancestrale torrente capriccioso bagna le rive della valle dell’antico maniero.

Il Museo della Rosa Nascente:
In questo luogo magico, dove le rose canine e le orchidee selvatiche vivono dall’epoca delle Fate è iniziato un nuovo cammino che ci accompagna nel mondo affascinante delle rose. Il Museo della Rosa Nascente vedrà la sua alba nella primavera del 2008. Attraverso il linguaggio meraviglioso delle rose potremo indagare sui misteri di cui, da sempre, questo fiore è messaggero. Nasce per volontà di Rita Trecci Gibelli che, da sempre innamorata di questo magnifico fiore, ha deciso di creare un percorso di profondo significato alchemico, che accompagna ogni singola persona alla scoperta della perfezione interiore attraverso l’evoluzione di colori, profumi, luci e simboli. Il giardino conta ad oggi 1000 piante di rose con oltre 90 varietà, e si snoda tra la ridente costa degli ulivi e i viali che portano verso le ombrose mura del Castello e le Gole del Vezzeno.

Le Gole del Vezzeno:
Il castello è circondato da una tenuta di 20 ettari, suddivisa in parco secolare, boschi selvaggi, vallate, vigneti, e strapiombi su roccia viva. Dalla torre del castello si può notare come quest’ultimo domini l'incredibile ed unico paesaggio caratterizzato dalla massa scura dell'ofiolite, sormontata dal bosco di conifere, e lo strapiombo su cui il castello si erge. La “Rocca di Cagnano” sorge su quello che è lo sperone ofiolitico che 180 milioni di anni fa “sbalzò” lontano dal suo luogo di origine (recenti studi affermano che si tratti da un blocco proveniente dall’attuale Liguria, catalogandolo come facente parte delle Liguridi Esterne) sulla sponda del torrente Vezzeno. Come parecchi affioramenti della stessa natura litologica presenti nel territorio regionale deve il nome al suo particolare cromatismo, in questo caso della roccia “al taglio fresco”. Come tutti gli affioramenti ofiolitici legati alle Liguridi Esterne (e l’appennino piacentino ne è ricchissimo) rappresenta un’isola di diversità litologica, e di conseguenza vegetazionale e faunistica nel “mare delle argille” che lo circonda. Intorno al castello si snodano alcuni sentieri: sono gli antichi camminamenti di ronda, che scendono fino alle forre del torrente; essi sono costituiti da piccoli sentieri e scalette scavati nella viva roccia ai limiti del quale sorge un orto botanico creato verso la fine del 1800, epoca in cui la selvaggia natura dell' "orrido" venne ingentilita dall'opera dell'uomo; questo orto botanico, costruito sfruttando la biodiversità costituita dal comprensorio ofiolitico, contiene specie particolarmente rare, tutt'ora in via di catalogazione, alcune delle quali erano caratteristiche del giardino all'italiana di ispirazione cinquecentesca e dell'orto botanico secondo la concezione ottocentesca. I suggestivi ammassi di ofiolite che fanno da fondamenta alle mura, e la vegetazione spontanea che nasce tra questi creando un fitto bosco ombroso, contribuiscono a rendere l’atmosfera carica di magia.

Scheda tecnica delle Gole del Vezzeno:
L’era Mesozoica si divide in tre periodi: Triassico, Giurassico e Cretaceo, e con essa inizia il ciclo che scientificamente si definisce orogenesi alpina ed appenninica, ovvero questo è il periodo in cui nell’attuale Italia “nascono” le Alpi e gli Appennini (180.000.000 di anni fa). Orogenesi significa etimologicamente “genesi delle montagne”. Con questo termine si intende l’insieme dei processi che hanno provocato la deformazione, il piegamento, la fatturazione ed il sollevamento delle enormi masse rocciose che costituiscono le catene montuose. In Italia i terreni del Mesozoico sono assai diffusi in tutto l’arco alpino e nell’Appennino. L’era che ci riguarda, cioè il periodo in cui ha origine il comprensorio del arco del Castello di Gropparello, risale a 180.000.000 anni fa: questo periodo è denominato Giurassico Superiore. In questo periodo hanno luogo sulla terra grandi sconvolgimenti: movimenti tettonici spostano i continenti e la crosta oceanica della Tetide, essendo più pesante di quella continentale, è costretta a scorrere sotto quest’ultima e, lasciando ritirare le acque, va ad incastrarsi in grandissima parte al di sotto della crosta sia europea che africana (movimenti delle placche nella cosiddetta teoria della “deriva dei continenti”), andando, per via della grande spinta a scendere a notevoli profondità. Le temperature e pressioni così elevate che regnano a tali quote sotto il livello del mare, avranno il potere di disciogliere la crosta continentale, la quale infine, tornerà ad essere magma per poi uscire con grandi spinte dalle bocche dei vulcani. Alcune parti, che potremo chiamare frammenti dell’intera crosta oceanica della Tetide, sono, per così dire, sbalzate fuori rotta (dando origine a depositi alloctoni), andandosi a posare su zone collinari di tutt’altra conformazione, fondendosi nel corso delle ere seguenti, in un unico territorio, dove la natura copre le frange di interferenza fra un territorio e l’altro, nascondendo i confini delle due diversità; ed ecco, ai nostri giorni il miracolo paesaggistico: all’improvviso, dietro un vigneto, in un bosco si apre una zona selvaggia, la cui morfologia complessa ed accidentata si eleva bruscamente distinguendosi dal resto del territorio creando un comprensorio grandioso e suggestivo nelle cui pieghe scorre il torrente Vezzeno. Quando percorriamo l’antico camminamento di ronda del Castello ci troviamo, quindi, a camminare sopra un reperto geologico salvatosi miracolosamente e che, per la sua diversità dalle terre circostanti costituisce una vera e propria isola sulla terraferma che si è portata dietro anche gli abitanti dell’oceano. (A seguito di tutti questi sconvolgimenti, questi terreni, infatti, sono oggi notevolmente ricchi di fossili).

Misteri e Leggende:
Come tutti i castelli che si rispettano, anche Gropparello ha le sue leggende ed i suoi misteri: si parla di passaggi segreti, di stanze murate, di “pozzo del taglio" (cioè quei trabocchetti costituiti da pozzi con lame acuminate infisse nelle pareti, ove venivano gettati gli sventurati che il signore voleva "far sparire" o i nemici), ecc. Certamente esistevano delle prigioni, che si dovevano trovare in alcuni locali sotto il corpo destinato alla guarnigione, ai quali si accede attraverso bassi e stretti cunicoli, che fanno pensare proprio alla funzione di ostacolare la fuga dei prigionieri (attualmente questa parte non è visitabile per motivi di sicurezza). Naturalmente, si parla anche di un fantasma; quello dell'infelice Rosania Fulgosio, che sarebbe stata murata viva dal marito, Pietrone da Cagnano, per averlo tradito durante una sua assenza dal castello. Siamo alla fine del 1200; mentre Pietrone è lontano dal castello per partecipare con le sue truppe a qualche azione militare, il castello viene attaccato da milizie avversarie condotte dal giovane Lancillotto Anguissola, antico amore di Rosania, contrastato dalla famiglia di lei. Il castello cade dopo una strenua difesa, ed il vincitore minaccia severe rappresaglie. La giovane castellana si getta ai suoi piedi intercedendo per la vita dei vinti; i due si riconoscono e l’antico amore si ridesta; così quella notte Rosania viene meno ai suoi doveri di sposa. Successivamente però Lancillotto, richiamato da altre imprese militari, lascia il castello con i suoi soldati. Ritorna Pietrone che, informato da una sua fedele fantesca di nome Verzuvia del tradimento della moglie, progetta la terribile punizione che abbiamo detto: con il pretesto di costruirsi un nascondiglio sicuro in caso di pericolo, fa scavare un antro nella viva roccia sotto le fondamenta del castello; poi, una notte, allontanati tutti i possibili testimoni, addormenta con un vino drogato la giovane moglie e ve la rinchiude; l'entrata della "camera maledetta" viene murata e nascosta accuratamente. La fanciulla muore in questo modo orribile, ed il suo spirito rimane legato al luogo della sua infelice esistenza, manifestandosi in certe notti con lamenti e gemiti che da allora sarebbero stati sentiti spesso da chi ha abitato il castello; sarebbe anche stata vista talvolta la diafana figura di una giovane donna che si aggirava nel parco o in certe camere del castello. In alcune camere del corpo principale si è manifestata di recente varie volte una figura di giovane donna piuttosto minuta, con i capelli raccolti da un velo ed una veste lunga in genere bianca; l’apparizione, che è stata vista non solo dai proprietari ma anche da altri, visitatori compresi, se ne va, silenziosamente com’è arrivata, entrando in una parete, o svanisce appena si cerca di fissarla più attentamente.

Il Parco delle Fiabe:
Cavalieri e dame sono stati i veri protagonisti che hanno fatto la storia di questo posto. Ma chi viveva intorno al castello? Vivevano i contadini e i taglialegna con le loro famiglie; molto spesso abitavano in capanne nel bosco, dove la loro vita povera veniva nascosta agli occhi del Castellano, che viveva così, felice e senza i possibili affanni causati dall’altrui miseria. E il bosco, folto e misterioso, era un luogo in cui pochi coraggiosi osavano avventurarsi, perché vi si potevano incontrare Fate, folletti, elfi..; e poi c’era l’Uomo Albero e forse l’Uomo Animale, e l’Orco; e non mancavano certo streghe e maghi, nella perenne ricerca di erbe per le loro pozioni. Ma tutti questi personaggi creati dalla fantasia popolare non ci sono più.. E invece è ancora possibile incontrarli nel parco delle fiabe del castello di Gropparello, il primo parco “emotivo” in Italia, dove tra il folto degli alberi del secolare parco intorno al castello, è stato amorosamente ricostruito l’habitat tradizionale di questi personaggi: la capanna della terribile strega, con la gabbia dove rinchiude le sue vittime; l’antro dell’orco; e i bambini, che verranno messi in costume medioevale e nominati “cavalieri del parco di Gropparello”, potranno addentrarsi in questo scenario incantato, accompagnati da valorosi cavalieri, e vivere meravigliose avventure con qualche.. brivido, incontrando la strega, l’orco, il folletto, la fata, in.. carne e ossa, e con tutta la loro carica di cattiveria o di bontà. “Lungo il percorso magico nel bosco, guardando ancora verso uno scorcio di mura merlate del castello, all’improvviso si incontrano cavalieri, fate e folletti. Stormi di taccole segnano la zona dove vivono l’orco e la strega.. Ma cosa succede ai pellegrini che si inoltrano in questo luogo? Come per incanto, tutti i pensieri fantastici che si erano affacciati alla mente durante la visita al castello o nei camminamenti di ronda si materializzano.. E come per incanto tutti i sorrisi, le ansie e le paure dell’Uomo Medievale entrano realmente nella vita di ciascun “pellegrino” in visita. Alla fine del percorso nel Parco delle Fiabe, un grido d’allarme giunge al Castello: è stato rubato il Calice della Felicità, custodito nel sacro bosco dal Druido. Il Cavaliere Bianco chiede aiuto a chi possiede i valori di coraggio e lealtà: tutti i bambini, quindi, vengono muniti di tunica, spada e elmo per formare l’esercito di valorosi, che scenderà in fondo valle, sotto le mura del Castello, ai limiti del bosco e del torrente a sconfiggere l’orco e la strega che minacciano la pace del Regno. Alla fine dell’impresa, in ringraziamento del coraggio, della lealtà e fedeltà dimostrata, i giovani valorosi vengono insigniti dell’ordine dei Cavalieri del Castello di Gropparello”.
"Si ringrazia la signora Rita Gibelli per la disponibilità e il contributo dato,
altre notizie su; castellodigropparello.it"



veduta di fine 800 del castello di Gropparello



il castello di Gropparello - primi del 900