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i Giochi di una volta

“di Giuseppe De Leo”

Come si divertivano i ragazzi di duemila anni fa? Come giocavano i bambini di ieri? I bambini, greci e romani, conoscevano la palla, giocavano a mosca cieca o con le monete? E quale atteggiamento assumevano gli adulti, di allora, nei confronti dell’attività ludica? Ho cercato, attraverso un meticoloso lavoro di ricerca e attraverso la consultazione dei testi sacri sull’argomento, di dare una risposta a questi interrogativi mettendo in evidenza, anche, il modo di divertirsi d’intere generazioni che si sono avvicendate sul palcoscenico della storia. Questo lavoro di ricostruzione storica dimostra come nell’ “espressione gioco”, accanto all’elemento ricreativo, culturale e pedagogico, dimori un profondo valore storico e antropologico. L’attività ludica dei bambini greci si esprimeva all’interno della famiglia, le bambine giocavano con le bambole, i maschietti con la palla, con il cerchio, con l’arco e si cimentavano nella corsa e nella lotta, praticavano il tiro alla fune, l’altalena, il gioco della settimana e la trottola che chiamavano “strombos”. I Greci, tuttavia, tenevano il gioco ai margini della vita sociale, così come veniva considerato lo stesso bambino fino a sette anni: marginale e poco importante. Non mancano, comunque, testimonianze d’autorevoli personaggi che misero in evidenza la grande importanza della pratica ludica per il bambino in giovanissima età. Lo stesso Platone riteneva che il gioco fosse utilissimo per la formazione dell’infante (Gioco educatore), in special modo quelle attività svolte in gruppo e che privilegiavano il movimento fisico e l’integrazione maschio-femmina; il tutto doveva avvenire, naturalmente, sotto il controllo dei grandi. I bambini romani, invece, come ci testimoniano Orazio, Marziale, Cicerone, praticavano molti di quei giochi che, a distanza di oltre duemila anni sono pervenuti a noi. Giocavano, spesso insieme agli adulti, a “Par imparar” (Pari o Dispari), “Caput et navis”(Testa o croce), al tiro al bersaglio, a moscacieca, con i birilli, a nascondino, con la corda, con la trottola (turbo); amavano far trascinare un carretto da un topo, amavano cavalcare una canna, facevano il girotondo, costruivano aquiloni, si cimentavano nel tiro alla fune, nel gioco della morra“micare digitis”, con gli astragali e le bambine giocavano con le bambole. I giovani romani praticavano, inoltre, molti giochi con le noci, e questo fatto era così frequente ed usuale che si usava indicare il periodo dell’abbandono dell’infanzia proprio con il termine “Lasciare il gioco delle noci”. “Nel Medioevo, invece, sia i giochi degli adulti che quelli dei bambini venivano contrastati, limitati, additati come attività pericolose. Questo atteggiamento era determinato dal fatto che la Chiesa considerava i giochi come oggetti demoniaci, fatti apposta per distogliere l’attenzione del credente dal pensiero di Dio e dalle preghiere” (G. Straccioli “Il gioco e il giocare”). Si deve arrivare verso la fine del Quattrocento per trovare un atteggiamento più tollerante verso il gioco. Non si accettavano, assolutamente, i giochi d’azzardo ma, si cominciava ad ammettere l’utilità di praticarne alcuni, come i giochi di corsa o di salto, considerati non pericolosi, comunque qualsiasi attività ludica doveva avvenire sotto il controllo degli adulti che dovevano guidare il gioco rendendolo ‘morale’. Il dibattito sull’utilità del gioco prosegue per tutto l’Umanesimo e il Rinascimento. Bisogna attendere, l’Età moderna, tuttavia, per vedere attribuite al gioco una soddisfacente dignità e una favorevole attenzione. Il Settecento è, probabilmente, il momento più alto di questo rinnovamento, un’epoca nella quale si viene sviluppando una pedagogia orientata ai valori sociali e civili; dove si viene precisando una cultura meno intessuta di morale religiosa e più aperta al cambiamento ed al rinnovamento. E’ il periodo nel quale si diffonde un modello di educazione più aperta e democratica, meno legata ai pregiudizi e alle tradizioni, più attenta alla formazione globale dell’educando, più rispettosa delle esigenze e delle esperienze dei bambini. Non a caso troviamo in questo periodo vari tentativi di collegare la scuola al gioco, la cultura degli adulti a quella dei bambini (G. Straccioli “Il gioco e il giocare”). Con l’avvento della società industriale e con l’arrivo del consumo di massa, quindi con lo sviluppo dell’industria dei giocattoli anche il modo di divertirsi comincia a cambiare, non più giochi e giocattoli auto-costruiti con regole auto-elaborate, ma giocattoli prefabbricati, imposti, senz’anima, con il risultato di espropriare il bambino dell’azione della manipolazione delle cose e della progettazione dell’intera struttura ludica. Questo lavoro di ricerca risulta ancora più importante perché proposto in un periodo dove con troppa facilità si sta tentando di cancellare la propria storia culturale e materiale. Dice il prof. Franco Frabboni, dell’università di Bologna:“Se dovessero scomparire la cultura e la memoria di giochi del passato, dei repertori ludici di marca“antropologica” strettamente legati ai linguaggi, alle culture, alle assiologie delle singole comunità sociali, allora si potrebbero suonare le“campane a morto” per il pianeta infanzia. Perché con la cultura del gioco scomparirebbe anche il bambino, sempre più espropriato, derubato, scorticato del suo mondo di cose e di valori e costretto a specchiarsi in culture non sue: prefabbricate, surgelate, imposte surrettiziamente dal mercato industriale”. Un dato certo è quello che molti giochi sono praticati, in modo simile, in molte regioni della terra tra i popoli civili e quelli barbari e questo è un fatto straordinario. Osserva il Pitré “Questo fatto ha un grande significato per l’etnografia e porta un certo contributo nelle spiegazioni di alcuni fenomeni psicologici e sociali. Ci sono degli svaghi come quello dell’anello o del cerchio o della palla o della trottola o della mosca cieca che si riscontrano sia fra i popoli dell’Europa che tra i neri dell’Africa, sia fra gli indigeni dell’America che nelle tribù selvagge dell’Oceania. Ciò dimostra che vari giochi hanno un fondo comune di tradizione, cioè uno l’ha imparato dall’altro, in epoche quando gli uomini delle primitive sedi dell’umanità si portarono nelle diverse contrade, modificandoli e adattandoli ai nuovi ambienti e alle nuove abitudini.” Il grande folclorista siciliano afferma che almeno un terzo di giochi conosciuti in Italia nell’Ottocento era patrimonio dei fanciulli e degli adulti di gran parte dell’Europa. In questo lavoro vengono riportati, in alcuni casi, nomi di giochi simili praticati in varie regioni italiane, non sempre, però, questi giochi sono perfettamente uguali, anzi spesso ci sono differenze nei regolamenti e nello stesso modo di giocare. Questo è il segno evidente della grande originalità e creatività che sta alla base dei giochi ma, che non esclude l’evidente collegamento tra le svariate espressioni. La maggior parte dei giochi di ieri si svolgevano all’aria aperta, erano passatempi semplici, salutari e più adatti alla vita di allora. Le case erano molto piccole e poco comode, mentre di spazi liberi se ne trovavano in abbondanza, la piazza diveniva un ottimo laboratorio. I momenti di tempo libero da dedicare al gioco erano veramente pochi ma, quando questo accadeva, giocavano tutti, grandi e piccini, e non mancavano gli spettatori che assistevano alle prove. I giochi erano basati sulla destrezza, sull’agilità, sulla velocità, sulla coordinazione ma principalmente sulla forza fisica. A volte diventavano violenti ed aggressivi perché, in parte, rispecchiavano i comportamenti sociali del tempo. I giochi, sono sempre figli del tempo e si adattano al contesto sociale nel quale si svolgono. Ieri non esisteva nessun disturbo dall’esterno, niente TV, niente computer, scarsissima produzione industriale di giocattoli con, in compenso, una solida presenza di rapporti interpersonali e di socializzazione. Era considerato importante lo stare insieme, anche i momenti di lavoro si trasformavano in occasione di socializzazione. La persona allora era al centro della società e il gioco era di tipo collettivo-creativo e ad alto contenuto sociale. I bambini di oggi non sanno più cosa voglia dire avere un cielo azzurro sulla testa, schiacciati dalla loro passività di soggetti cresciuti davanti alla TV, con gli occhi abituati ad incamerare sempre più immagini e a produrre sempre meno parole. Ieri il bambino non aveva bisogno dell’adulto, della guida, erano indipendenti ed autonomi nel gioco prima e nella vita, poi; oggi non sono abituati a scegliere, c’è sempre qualcuno che provvede ad indirizzarli verso qualcosa e quando non c’è l’adulto c’è bisogno del computer o di altro. L’oggetto giocattolo è il nulla e dietro di esso si aggrovigliano il vuoto delle relazioni umane e l’assenza della fantasia, della creatività e dell’inventiva; in questo modo il gioco, inteso come tempo della piena libertà infantile, viene spogliato di spazi ampi e differenziati e mutilato dei propri segni educativi quali il movimento, la comunicazione, la fantasia, l’avventura, la costruzione, la socializzazione. Il bambino, spesso, non sceglie in base alle sue esigenze ma viene trascinato in forme di divertimento imposte, create artificialmente, prefabbricate. Bambini che stanno insieme fisicamente ma che non socializzano affatto, tra loro non si creano rapporti interpersonali ma soltanto muri di isolamento e solitudine.

°° ecco alcuni esempi di giochi °°

al Bìli - le Biglie

Per terra venivano praticati dei buchi in fila, solitamente tre o quattro, a una distanza che variava a seconda di ciò che i giocatori volevano. Con delle biglie si cercava di centrare i buchi fatti. I giocatori si accordavano sulla distanza da cui le biglie andavano tirate, il valore di ogni buca che veniva centrata e il modo di lanciare le palline (ad esempio con il pollice e l’indice, facendole rotolare sul terreno o tirandola in aria). In base alle regole, vinceva chi riusciva a centrare più volte una certa buca o a fare più punti centrando le buche più lontane
i Quatàr Cantòn - i Quattro Cantoni

Per terra veniva disegnato un quadrato e quattro giocatori dovevano occuparne gli angoli, mentre un quinto stava al centro. Quest’ultimo doveva cercare di occupare uno dei quattro angoli mentre gli altri si scambiavano il posto: se riusciva chi aveva perso il posto doveva andare al centro del quadrato e il gioco ricominciava. A Ronchis si è giocato a questo gioco per molto tempo in uno spazio di fronte alla chiesa, prima e dopo le lezioni di catechismo.
i Seincu Sass - i Cinque Sassi

A questo gioco partecipavano due giocatori (era particolarmente diffuso tra le ragazze e le bambine). Si cominciava spargendo per terra cinque biglie o altrettanti sassi tondi. Si lanciava quindi in aria un sasso e si doveva riprenderlo. Prima di far questo, però, con la stessa mano si doveva prendere un secondo sasso e tenerlo. Dopo aver preso l’altro, il secondo sasso andava lanciato in aria, ma prima di riprenderlo si doveva raccogliere un terzo sasso. Si proseguiva in questo modo fino al quinto sasso. Dopo aver preso tutti i sassi, si dovevano porre sul dorso della mano per poi riprenderli con il palmo. Per vincere non si doveva commettere alcun errore.

la Ciàramèla o Lippa

Regolamento gioco:
La Ciàramèla: è un corto bastone di legno di cm 18 appuntito agli estremi ed avente il diametro di 3 cm. Al Bac: è un bastone avente la funzione di mazzo lungo cm 50 e con il diametro di 3,5 o 4 cm. Al Capè: è un comune cappello con visiera. La Cà: è 1a base di
partenza del gioco. Il gioco si svolge tra due giocatori che si fronteggiano, vince chi dei due raggiunge il massimo punteggio dichiarato. indichiamo con Tizio il giocatore che ha avuto il diritto alla prima battuta e con Caio l’avversario. Prima di battere Tizio, urla: Giarè (espressione dialettale per chiedere all'altro se è pronto). Risponde affermativamente Caio gridando a sua volta: Bandè. Dopo di che Tizio, tenendo in mano la Ciàramèla per una delle due punte, la colpisce con il bac gridando: Ciaplà In Tal Capè’. Caio cercherà quindi di ricevere la ciàramèla esattamente nel cappello senza prenderla con le mani. Per il lancio Tizio ha a disposizione tre colpi ed in caso di fallimento la battuta passa direttamente a Caio. Se la ciàramèla non entrerà nella Cà il gioco rimane a Tizio che darà inizio alla seconda fase di gioco. Se la ciòramèla entra nel perimetro della Cà viene eliminato. Stima della Distanza:Il battitore tizio valuta la distanza della Cà misurata in lunghezze di Bac e dice a Caio “ anna^voij.. bac” se Caio usando l'espressione "tia don" accorda quanto domandato e significa che gli concede il numero di Bac richiesti e che corrisponde al punteggio che Tizio ha saputo guadagnare. La battuta passa così a Caio. Se Caio ritiene che la distanza punteggio richiesta sia eccessiva, risponde "tia^ don no" ed in tal caso Tizio può rispondere "m'sùrî e cui frijòn in tal filòn" cioè invita Caio di controllare la veridicità della misura punteggio richiesta misurandola con il Bac senza alzarsi ad appoggiarsi a terra o lasciare il Bac, e per castigarlo Caio gli può passare il Bac sulla schiena (in modo corretto). Se la distanza risulta uguale o superiore a quella stimata, il punteggio richiesto viene assegnato (così pure se il giocatore rinuncia), se invece la distanza è inferiore Tizio perde il punteggio che passerà a favore dell'avversario che avrà anche diritto di battuta. i punti raccolti durante il conteggio non vanno raddoppiati, se non vi sono i punti richiesti, passano automaticamente all’avversario. Vincerà chi dei due raggiunge il punteggio più alto che sarà uguale alla somma dei punteggi parziali acquisiti dai giocatori. i giocatori in gara saranno dieci, dopo la prima fase eliminatoria ne rimarranno cinque e tra questi verrà eliminato anche il giocatore che avrà totalizzato il peggior punteggio: i quattro giocatori rimasti, in base ad un sorteggio sul campo, si disputeranno le gare di semifinale e di finale. in caso di parità viene riproposta la partita con una manche di tre bacà. La gara si sviluppa in due turni (per ciascun giocatore) aventi due lanci per turno e della finale che si svilupperà, per ciascun giocatore, in tre turni aventi tre lanci per turno.Nota: Se la ciàramèla viene mossa o sfiorata senza aver eseguito alcuna battuta, viene penalizzato e conteggiato agli effetti delle bacà a disposizione. Ogni tipo di battuta negativa eseguita per 1"eventuale lancio viene considerata valida. La bandierina non si toglie fino all'assegnazione dei punti.
i buttòn - i Bottoni

Questo gioco era molto semplice e veniva praticato con i vuessis, dei bottoni d’osso, o altri bottoni. Venivano fatti rimbalzare su un muro: vinceva chi aveva il bottone più vicino a una data linea prestabilita.

Campanon o al Mond - Campana o Paradiso

Si tracciavano per terra, con un gessetto, delle caselle. La prima bambina doveva tirare un sassolino nella casella n° 1, poi, saltando con una gamba sola, doveva recuperare il sassolino e tornare alla linea di partenza senza toccare i segni. Poi tirava il sassolino nella casella n°2 e doveva recuperarlo nello stesso modo di prima e facendo tutto il percorso al contrario e così fino alla 12° casella. Solo nella casella n° 8 si poteva riposare mettendo a terra entrambi i piedi e nelle caselle n°9 e 10 era obbligatorio saltare con un piede in ognuna. Vinceva chi faceva per primo il percorso senza errori.

Pirlèina o Pirlòn - la Trottola

Si trattava di una trottola di legno con delle rigature circolari e sulla punta un grosso chiodo che serviva a non consumarsi troppo in fretta sfregando sul terreno. Si prendeva un pezzo di legno e ad una estremità si attaccava un pezzo di spago: era la frusta con cui si avvolgeva la trottola per farla partire con uno strattone. Prima che la trottola smettesse di girare, bisognava colpirla con una frusta per dargli più velocità. Vinceva chi la faceva girare più a lungo.
Urbisò o Urbisèi - Mosca Cieca

Un bambino veniva bendato e veniva girato su se stesso per fargli perdere il senso dell'orientamento. Gli altri scappavano mentre allo stesso tempo chiamavano il bambino bendato per ingannarlo nella direzione da prendere.
Vinceva chi rimaneva per ultimo.
Scòndalera o Scòndalevra - Nascondino

Si giocava con più persone, un bambino contava sino a dieci nascondendo il viso vicino al muro senza guardare, mentre gli altri bambini si nascondevano dietro la casa, il muro e i cespugli. La regola del gioco era quella di cercare di toccare per primo il muro senza che il bambino che contava se ne accorgesse. Chi non riusciva a fare questa cosa poi doveva contare.
Salto con la Corda

Il gioco consiste nel saltare una corda senza cadere. Era fatta di spago e alle estremità aveva due manici di legno. Era un gioco che si poteva fare da sola o in compagnia. A quei tempi si poteva giocare molto tranquilli per le strade perché non c'erano i pericoli che ci sono oggi. Il salto della corda si faceva così: Se era da sola prendeva una corda di circa 2 metri per le estremità con le mani, e faceva roteare la corda intorno a se stessa, nella lunghezza del corpo. Quando la corda arrivava all'altezza dei piedi doveva fare una salto per non inciampare, si proseguiva così facendola andare sempre più veloce. Invece se era con due amiche, le faceva tenere la corda, la nonna andava al centro, e le amiche gliela facevano roteare. Questo gioco si poteva fare in quattro: due tenevano la corda e due saltavano contemporaneamente.
Girotondo

E’ un gioco molto semplice che si faceva nei cortili degli asili, le attuali scuole dell’infanzia, e delle scuole elementari. Vi Partecipavano in molti (bambini e bambine) che formando un grande cerchio umano si tenevano per mano e cominciavano a girare in tondo sempre nello stesso verso. Si cantava la seguente filastrocca alla fine della quale ognuno si doveva sedere velocemente per terra: “Giro, giro tondo casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra”. Perdeva chi era l’ultimo a sedersi.

Figurein o Testa e Lis - le Figurine

La passione per le figurine è sempre stata molto grande nei bambini e nei ragazzi ed è legata all’album messo sul mercato dalla Panini. Come si giocava: le figurine venivano lanciate dall’alto, da una sedia o da un muretto con un piccolo colpo delle dita. Se una di queste figurine finiva sopra ad un’altra, anche solo in parte, il vincitore aveva come premio le figurine che si trovavano per terra. Si poteva giocare sia al chiuso che all’aperto. I giocatori usavano ovviamente le figurine doppie con lo scopo, in caso di vincita, di implementare il proprio album.
i Nibi - i Tappi

Il gioco dei tappi consiste nel tracciare una pista per terra con curve e rettilinei posizionando all'inizio della pista dei tappi. Ogni bambino che possiede un tappo ha diritto ad un tiro ad ogni turno. Lo scopo è quello di arrivare primi al traguardo. Il tiro si effettua spingendo il tappo con uno scatto dell'indice. Se il giocatore tira il tappo al di fuori della pista si torna indietro rincominciando dall'ultimo tiro effettuato.

l’Altalena

E’ un gioco antichissimo e sempre attuale, l’altalena si trova praticamente in tutti i parchi gioco per bambini. Una volta bastava un albero con un ramo resistente, una fune ed un pezzo di tavola. La fune veniva fissata al ramo dell’albero con le due estremità e la tavoletta alla base della fune in modo da realizzare una superficie su cui sedersi. A questo punto bastava un’energica spinta, un po’ di coraggio e si iniziava a volare. Bisognava però tenere sempre sotto osservazione il ramo dell’albero per evitare cadute rovinose.
la Bàla o Balòn - il Gioco del Pallone

Non c’erano campi di calcio o parchi attrezzati, ma si giocava dove c’era un prato, uno spiazzo, un campo di erba medica appena tagliata, una banca dell’argine del Po. Berretti, maglioni, le cartelle di scuola o due bastoncini diventavo la porta. Qualcuno portava il pallone e il gioco aveva inizio. I palloni erano prevalentemente di plastica e si rompevano irrimediabilmente quando finivano su di un filo spinato. Era una grande festa quando qualcuno portava il famoso pallone di cuoio numero 5. Questo pallone era bellissimo di cuoio marrone che però in breve tempo si rovinava e diventava biancastro e ruvido. Quando lo prendevi di testa lasciava un bel livido, ma non contava nulla, era roba da grandi. Lo si gonfiava con la pompa della bicicletta. A volte capitava che si litigava o si rimproverava più del dovuto per una brutta giocata il proprietario del pallone, ciò era molto rischioso perché questo bambino affermava: “allora me ne vado e porto via il pallone”.
Cursa di Sacc - la Corsa nei Sacchi

Per partecipare basta avere alcuni sacchi di juta nei quali i concorrenti s’infilano, reggendoli all’altezza del petto, e poi, in tale posizione, essi saltano a piedi uniti verso la linea di arrivo. Vince chi raggiunge per primo il traguardo. Chi cade non è eliminato, perde solo del tempo prezioso. Può, infatti, rialzarsi e continuare. Questo gioco rientra nella tipologia delle “corse difficoltose”, la cui variante più diffusa è quella della corsa detta a “tre gambe”, dove si partecipa a coppie: in ciascuna coppia si lega la caviglia sinistra d’un giocatore a quella destra del compagno, poi si corre a “tre gambe”.

Salta Mulassa o Cavalleina - Salto della Cavallina

Era un gioco molto diffuso tra i bambini anche perché per poter giocare non serviva proprio nulla nel senso che un gruppo di ragazzi si trovava e bastava dire “giochiamo alla cavallina”. Un volontario allora si metteva inginocchiato con le mani per terra e a turno si faceva saltare dai compagni vocianti che lo sormontavano di corsa sulle spalle come fosse un quadrupede. Questo gioco lo si praticava sui prati o sulle banche degli argini del Po, tanti erano i ruzzoloni sull’erba e spesso si tornava a casa con le ginocchia dei pantaloni colorate dal verde dell’erba per la “gioia” della mamma.

Tira Sass - la Fionda

Uno dei giochi maschili per eccellenza era la fionda. Tutti, o quasi, i bambini si costruivano una fionda, per cacciare uccelli o per tiri di precisione. Veniva utilizzato un ramo biforcuto . Due elastici, ricavati dalle camere d'aria delle ruote delle biciclette venivano ben legati ai bracci della fionda e ad un pezzetto di pelle che si ricavava da scarpe o borse in disuso.
lo Scupidù

Andava di moda tra bambini e ragazzi negli anni sessanta. Lo scupidù è un semplice intreccio a sezione quadrata o arrotondata che si realizza con due cordini, generalmente di diverso colore. Si usava un cavo sottile in nylon o canapa di uso marino, ma poteva essere fatto con altro materiale tipo spago, cordino in plastica delle sedie, cavi elettrici (specie quelli telefonici bianchi e rossi che all’epoca non era raro trovare in spezzoni di avanzo gettati via dai tecnici). Servivano a qualcosa? Ovviamente a niente se non a adornare in perfetto stile kitch i moschettoni usati come portachiavi o le cartelle scolastiche.
i Rocchetti

Piccoli cilindri in legno, con bordi rialzati per trattenere il filo del cotone di cui sono avvolti. Un foro all'interno serve per infilarli sulle macchine da cucire. Supporti, oggi quasi introvabili, per avvolgervi il filo da cucito. In ogni casa si cuciva, pertanto capitava spesso di averne a disposizione perché non venivano certo gettati via. I bambini di ieri con i rocchetti costruivano giochi, frutto di una grande ingegnosità. Il più classico di queste realizzazione era il trattore. Si tratta di una macchina semovente a cui la fantasia del bambino attribuiva il ruolo di trattore o di carro armato, a seconda delle inclinazioni personali, la tecnica di costruzione è infatti la stessa. Per la costruzione del trattore occorrono, oltre al rocchetto, una scheggia di sapone o un pò di cera, due legnetti di cui uno più lungo e l’altro più corto un elastico. Con un coltellino si incidono piccoli denti sui bordi del rocchetto, simulando il cingolato del trattore, con la cera o il sapone si prepara un piccolo disco forato che avrà il ruolo di frizione. A questo punto si infila l’elastico attraverso il foro del rocchetto e lo si trattiene da una parte con il legnetto più corto fissato in una leggere scanalatura o con un piccolissimo chiodo. Dall’altra parte si inserisce a ridosso del disco forato di sapone (la frizione). Il gioco è fatto, il trattore può ora funzionare, basta roteare il legnetto più lungo affinché l’elastico si attorcigli. L’energia caricata sarà lentamente liberata grazie all’azione frenante della cera o del sapone. Il legnetto più lungo appoggiandosi sul terreno spingerà in avanti il trattore in grado di affrontare anche piccole salite.

la Polenta

Due o più giocatori formavano una piccola montagna di sabbia, mettendo sulla sommità una bandierina o uno stecchetto. Ognuno con la mano prendeva un po’ di sabbia e perdeva chi faceva cadere la bandierina o lo stecchetto. Questo gioco deve alla polenta il suo nome, perché tutti ne prendono una fetta ma all’ultimo rimane solo il tagliere vuoto.

i Vivi e i Morti

Si ponevano per terra e in piedi tanti mattoni quanti erano i giocatori e, da una distanza di circa cinque sei metri si tentava di far cadere i mattoni degli avversari tirando dei sassi. Vinceva chi conservava, alla fine del gioco o più a lungo degli altri, il proprio mattone. Il nome del gioco è dovuto al fatto che i mattoni che cadevano erano detti morti, quelli che restavano in piedi vivi.

Uno Due Tre.. Stella

Un bambino teneva la testa appoggiata ad un muro e si copriva gli occhi con le mani. Gli altri bambini gli stavano dietro, molto distanti dal muro. Il bambino con gli occhi coperti contava "uno, due, tre…stella!" e mentre lui parlava gli altri dovevano correre e avvicinarsi il più possibile al muro. Finito di contare il bambino si girava e se vedeva qualcuno muoversi lo rimandava indietro di tre passi. Lo scopo del gioco era quello di avvicinarsi senza essere visti al muro e di riuscire a toccarlo. Il bambino che riusciva a toccare il muro doveva gridare "stella!" e aveva vinto.

Prova di forza con il palo - Gioco basato sulla forza

Partecipanti: Due persone per volta.Campo di gioco: Spazio aperto.
Materiale occorrente: Un paletto ben resistente.
Svolgimento del gioco: I due partecipanti, l'uno di fronte all'altro, si mettono seduti sul terreno con le gambe aperte e ben distese in modo da contrastarsi con le rispettive piante dei piedi. Il paletto va impugnato da entrambi. Il gioco consiste nel riuscire a sollevare da terra l'avversario, facendo affidamento sulla capacità di resistenza esercitata dalle gambe.

il gioco dello Sculaccione

Si poteva giocare all'aperto o in una stanza. Si doveva formare un cerchio di bambini e uno rimaneva fuori. Questo andava da un bambino e gli dava uno sculaccione. il bambino che veniva toccato doveva correre nel senso opposto dell'altro e chi prima ritornava al posto libero vinceva. Chi rimaneva fuori dal cerchio doveva dare lo sculaccione ad un altro bambino.

Tirà il Pièlli – Tirare i sassi sull’acqua

Si tratta del divertimento di molti ragazzini di una volta.. quanti di noi hanno tirato i sassi, (in particolare si cercavano quelli piatti), sugli specchi d’acqua cercando di farli rimbalzare più volte. Vinceva chi riusciva a fare molti rimbalzi. Il nome “piella” deriva dalla levigatura e dalla rotondità del ciotolo.

Roba Bandèra – Ruba Bandiera

Si formano due squadre contrapposte e ad ogni giocatore si assegna un numero, viene delimitato un campo di gioco di eguale metratura per entrambe con una linea centrale di divisione e linee di fondo oltre le quali si schierano i giocatori, il giudice tiene una bandiera o un fazzoletto in mano e si piazza sulla linea centrale e ad alta voce chiama un numero. I giocatori ai quali era stato assegnato il numero chiamato corrono verso la bandiera il più velocemente possibile per strapparla al giudice e riportarla oltre la linea di confine della propria squadra. Il bello viene quando i corridori hanno la stessa velocità di corsa, perchè arrivano entrambi vicino al fazzoletto nello stesso momento , e quindi bisogna cercare con finte e occhiatacce di distrarre l'avversario, perchè se si viene toccati mentre si ritorna verso la propria base, il punto va all'avversario, il tutto ovviamente senza oltrepassare la linea di divisione del campo . Il giocatore che è toccato viene eliminato e dopo un certo numero di prove prestabilite vince la squadra che rimane con più concorrenti

tirà la Sguiaròla dal giazz o in'dla mòta

Si trattava di una modo per divertirsi scivolando sul ghiaccio o nel fango.. ovviamente si prendevano tanti rimproveri e sculaccioni dalle mamme..

Ce l'hai - Rincorrersi cercando di Toccarsi

Questo gioco scaturiva all'improvviso nelle giornate con poche idee goliardiche, bastava che uno di noi dava una pacca sulla spalla di un amico che si iniziava a correre e a cercare di toccarsi.

la Strìa - Strega Comanda

Un ragazzo che impersonava la strega, comandava agli altri giocatori di toccare un oggetto o di cercare colori o di trovare persone che avessero un tal nome; chi non trovava la cosa richiesta, veniva catturato dalla strega e perdeva. Naturalmente bisognava delimitare il confine del campo di gioco che poteva essere la fine della via o il cortile dove si abitava. Va ricordato che chi perdeva veniva sottoposto ad una penitenza “la Barleina”, veniva deriso, preso in giro e messo alla berlina.