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Piacenza nel Caos del XV Secolo

“di Claudio Gallini”


particolare della piazza - inc. del XVII sec.

La storia della nostra città nei primi anni del XV secolo è stata, per certi versi, trascurata e poco rivalutata ai giorni nostri. In questo aggrovigliato periodo storico, possiamo fare il punto della situazione grazie soprattutto alle cronache raccontate da eruditi storici locali del tempo passato quali Cristoforo Poggiali e Vincenzo Boselli che, con grande - ed a volte maniacale - accuratezza, hanno fissato momenti molto importanti e decisivi della nostra città. E’ da subito doveroso precisare che, tra quattro e cinquecento, l’Emilia non appare come la conosciamo oggi ma risulta frazionata in “Romagna”, con Bologna e Ferrara, ed una Lombardia che comprendeva: Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena. Lo storico Giorgio Chittolini, in “Particolarismo signorile e feudale in Emilia fra Quattrocento e Cinquecento”, definisce infatti Piacenza come una città Lombarda, ma «di qua dal Po»”. Quest’analisi, seppur superficiale in questa sede, vuole prendere in considerazione una più complessa fase di passaggio che fa approdare Piacenza agli Sforza passando però attraverso altre dominazioni minori che spesso e volentieri non vengono ricordate, ma che hanno arrecato deterioramento e malcontento all’interno della nostra città. Per i motivi geografici di cui si è fatto cenno precedentemente, citando Chittolini, Piacenza fu sottoposta, a volte irrimediabilmente, a scontri ed attriti che coinvolgevano le grandi potenze quali: il Ducato di Milano, lo Stato Pontificio, Venezia e Firenze. Queste potenze, comprese altre Europee impegnate nelle guerre d’Italia, usavano Piacenza come avamposto perché situata in una zona altamente strategica così da raggiungere in breve tempo molte destinazioni. Questi comportamenti, queste brevi e disinteressate dominazioni, causarono a più riprese, una lenta capitolazione della città. La sopracitata situazione riguardava principalmente la città intesa come centro urbano racchiuso entro le mura e la crisi riguardava diversi ambiti: dal sanitario al politico e sociale, oltre al grave aspetto economico ed urbanistico. Lo storico Vincenzo Boselli, racconta ad esempio che nel 1400 Piacenza appariva provata dalle continue lotte tra guelfi e ghibellini ma anche e soprattutto da importanti incursioni francesi che avvennero nel periodo Visconteo. La morte di Gian Galeazzo Visconti, avvenuta il 3 Settembre 1402, spalancò le porte ad una fase storica molto complessa per il Ducato di Milano (che comprendeva anche Piacenza) causando un decennio di ingovernabilità: momento favorevole per l’ascesa di numerosi condottieri. Per circa quattordici anni Piacenza fu terribilmente scossa da continue invasioni capeggiate da avventurieri quali: Facino (Bonifacio) Cane, Ottobono Terzi, Cabrino Fondulo, Giovanni Vignati, Castellino Beccaria, Pandolfo Malatesta oltre al piacentino Filippo Arcelli ed agli stessi Visconti. Otto dominazioni in quattordici anni causarono una profonda crisi, uno scompenso urbano, sociale ed economico; Inoltre l’esplosione di una micidiale peste portò Piacenza al collasso totale, senza dimenticare anche le avverse condizioni climatiche che dalla siccità del 1401, passarono alle terribili inondazioni del 1402, con, tra l’altro, terremoti e tremende carestie. Il centro urbano versava in una mesta desolazione, diroccato ed abbandonato: I cittadini scappavano dalla città per rifugiarsi sulle montagne, protetti da feudatari locali, le fortificazioni erano semidistrutte, così come le attività artigianali e commerciali che risultavano ferme. Erano cessate anche le attività religiose perché i monasteri e le chiese, baluardi della civiltà, furono razziati barbaramente. Lo stesso degrado venne riportato anche negli annali del “Ripalta” che descrive Piacenza, attorno al 1417, come una città abitata da solo 3 persone: uno nei pressi di Santa Brigida, un altro a S. Francesco e l’ultimo a S. Giovanni in Canale. Lo scrittore, esagerando probabilmente, descrive inoltre la piazza comunale di quegli anni coperta da una fitta vegetazione, tanto da sembrare un luogo adatto a lupi e fiere piuttosto che a uomini.


medaglione di filippo maria visconti

Una grande svolta, la caduta degli Arcelli ad opera del Carmagnola, riportò Piacenza nelle mani dei Visconti. Il giovanissimo Filippo Maria Visconti ricondusse, in un certo senso, la tranquillità generale a Piacenza dove già nel 1419 ripresero a funzionare le istituzioni urbane. Il Visconti, ordinò la riparazione delle mura, e delle porte, stabilendo che entro due mesi i cittadini dovevano rientrare a Piacenza pena il sequestro di tutti i loro beni. La confisca dei beni, a beneficio dei poveri, era prevista anche per gli ecclesiastici se non fossero rientrati in città ad esercitare le loro funzioni; Il Visconti concesse inoltre l’esenzione per dieci anni da ogni tipo di tassa, per chi fosse venuto ad abitare a Piacenza. Egli ordinò inoltre che fossero restituiti i castelli e tutti i beni immobili a coloro che ne furono stati derubati ingiustamente da qualche “occupatore”. Il primo proposito ducale, sulla quale era incentrata la politica Viscontea di quegli anni, era il ripristino della pace e della tranquillità, da come si può rilevare da un’ordinanza di allora, riportata da Vincenzo Boselli nelle sue cronache locali. Gli anni di dominazione Viscontea, guidati da Filippo Maria, crebbero nella ricostruzione del Ducato con diverse vicende caratterizzate dal dinamismo dei rapporti tra il Duca, i signori del contado e tra le diverse elites urbane, avvenimenti qui non presi in esame. L’ulteriore processo di sfaldamento dello Stato, avvenuto dopo la morte di Filippo Maria Visconti, portò nuovamente il caos in tutti i territori appartenenti al Ducato e così anche a Piacenza.

Nella prima metà del XV secolo, mentre a Piacenza si soffriva il forte stato di “sbandamento” del Ducato di Milano, nasceva invece nella nostra provincia un’entità a sé, capace di distinguersi dallo “Stato”, capace di amministrarsi e di autoregolarsi autonomamente: la “Magnifica Università di Valnure”. Questa istituzione, rappresenta una nota poco conosciuta da molti della nostra storia locale, ma che trovò nel borgo di Bettola il suo centro governativo; una grande competenza territoriale che comprendeva 21 comuni. La Valnure non era più soltanto una realtà geografica, ma diveniva una forte realtà politica. Le signorie, dal canto loro, poco potevano fare contro l’animo sovversivo dei montanari poco disponibili a pagare dazi e gabelle, e l’unica soluzione per assoggettarli era quella di scendere a compromessi permettendo loro numerose immunità fiscali. Tutto ebbe inizio il 1° Novembre 1441, quando, Filippo Maria Visconti concesse loro diversi sgravi, cedendo alla Valnure 1000 ducati e promettendo di mantenere la Valle con i suoi abitanti sotto il suo immediato governo e tutela, senza mai infeudarla ad altri. Le stesse condizioni vennero successivamente riconfermate da Francesco Sforza nel 1452, e così fino al 1516 da Francesco I re di Francia. Tra le numerose immunità fiscali elenchiamo: L’esonero dalle imposte straordinarie, dai dazi sul vino e sul bestiame, dalle funzioni militari; Il diritto di estrarre 400 pesi di sale dai pozzi di Salsomaggiore (terra originariamente piacentina); esenzione dalla compartecipazione dell’inghiaiatura e riparazioni dei ponti sulle strade romee ed altre vie di pianura. Un successivo riconoscimento arrivò nel 1523 quando papa Clemente VII nominò la “Magnifica Università di Valnure”, dove il termine “Università” aveva il chiaro significato di “Comunità”, la quale riuscì a sfiorare i giorni nostri fino al XIX secolo. Sempre nel 1523, il 17 dicembre, il pontefice aggiunse un altro importante privilegio alla Valle, ovvero l’istituzione della “Fiera Settembrina” da tenersi ogni anno in settembre nella piazza di Bettola (Fiera tuttora esistente). La Valnure appariva così come un territorio autonomo, non solo dalla congregazione dei comuni piacentini ma anche dalla stessa Piacenza in quanto aveva propri statuti e regolamenti. Il responsabile del buon andamento era il Priore, che vestiva i panni del “capo” e godeva di un certo numero di diritti; sotto di lui vi erano: il tesoriere, il cancelliere ed il consiglio formato da ventiquattro deputati chiamati anche rurali. Il Priore rimaneva in carica un anno e veniva eletto dal popolo di Valnure, mentre la nomina dei deputati avveniva ogni tre anni. Le autorità centrali del “Ducato parmense” tentarono successivamente, in più riprese, di ledere questi diritti, ma i valnuresi riuscirono a sempre difenderli a denti stretti, nonostante numerose controversie giuridiche non affrontate in quest’analisi.


L’antica istituzione dell’ “Università di Valnure” cessò di esistere con l’avvento di Napoleone Bonaparte, e di essa rimane oggi il simbolo di questa comunità impresso sullo stemma comunale di Bettola, a ricordo dell’orgoglio per la libertà che ancora scorre nel sangue dei valnuresi. (da ripensandopiacenza.blogspot.com).