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Retorto, il Capitano Tassi e la Banda Bertuzzi

E’ risaputo che tra il XV e il XVI Secolo le valli appenniniche erano infestate di banditi i quali, spesso con l’interessata connivenza dei signorotti feudali, erano usi taglieggiare mercanti, viandanti e mulattieri in viaggio tra il mare e la pianura.

Uno dei banditi più temuti tra le valli Aveto e Nure alla fine del ‘500 era un certo Aurelio Bertuzzi. Era costui un prete che si era distinto nei disordini del 1592 (allorché la popolazione di Santo Stefano d’Aveto si era sollevata in armi contro l’esoso fisco locale, costringendo di fatto Gian Andrea Doria a rimuovere il nipote Antonio dalla titolarità del feudo perché troppo odiato tra i sudditi), ed era stato in seguito sospeso a divinis. Anziché cercare il perdono del vescovo e il reintegro nelle sue funzioni sacerdotali, il nostro si era invece messo a capo di una masnada di tagliagole, che si facevano chiamare per l’appunto Banda Bertuzzi.

Bandito dal feudo doriano di Santo Stefano, il Bertuzzi con i suoi uomini si era trovato una nuova patria nei limitrofi confini del Marchesato degli Edifizi, retto dai Malaspina, con i quali era anzi in ottimi rapporti. Pare che il Bertuzzi frequentasse abitualmente le sale del Castello di Gambaro, dove risiedeva il marchese Pier Francesco Malaspina.

Per alcuni anni, la Banda Bertuzzi imperversò impunita nel Genovesato, senza che i commissari dei Doria potessero prevenirne o impedirne le incursioni, a causa della vastità del confine da presidiare e della penuria di uomini d’arme a disposizione. L’impresa più efferata, quella che infine fece traboccare il vaso e convinse i Doria a intervenire, il Bertuzzi la compì ai danni di un certo Benedetto Mazza, un anziano e benestante abitante di Santo Stefano. I banditi si introdussero in casa sua nel luglio del 1595 e lo misero sotto tortura per farsi confessare dove custodisse i suoi averi. Prima lo appesero al soffitto per i testicoli, quindi lo infilzarono col pugnale e infine, data la strenua resistenza dell’ostaggio, lo finirono a colpi d’archibugio.
Poi si rivolsero al figlio Antonio, che sottoposto al medesimo supplizio cedette subito e consegnò circa trecento scudi ai malviventi, che spararono anche a lui, ma senza ucciderlo. Rapirono in compenso una sua giovane congiunta, che liberarono nei boschi dopo alcuni giorni di sevizie.
Se i banditi si fossero limitati a continuare a derubare mercanti di Genova o Piacenza, i Doria potevano anche chiudere un occhio, ma ora la faccenda si era fatta tremendamente seria: il Bertuzzi non poteva permettersi di rapinare e assassinare sudditi del Principe nelle loro case, all’ombra del castello! In breve, venne organizzata una vera e propria spedizione punitiva, comandata da Giacomo Tassi, che era il Capitano della Guardia del feudo, con il supporto dei nobili Paolo Girolamo e Antonio Della Cella. In aggiunta ad alcuni soldati spagnoli della guarnigione del castello e ad Antonio Mazza che aveva giurato vendetta, i Della Cella avevano reclutato numerosi uomini armati tra i loro sottoposti. La notte del 25 luglio, il gruppo si mise in marcia.

Valicato il Passo del Tomarlo, si diressero verso Gambaro. Là, il parroco confidò ad Antonio Della Cella che il Bertuzzi si intratteneva nella vicina Retorto, ospite della sua amante, tale Domenichina Cavalli; la presenza di così tanti uomini armati allarmò le guardie del castello, che iniziarono a sparare sulla banda, costringendola a ritirarsi. Ripiegando su Retorto, il Tassi divise la piccola armata in due squadre.

Giunti in vista della casa della Cavalli, gli uomini di S. Stefano si appostarono, e aprirono il fuoco con gli archibugi appena videro un uomo uscire dalla casa. In breve, fu il caos: cominciarono fitti spari da ambo le parti, mentre i banditi si barricavano nella casa ormai circondata. Non riuscendo a stanare il Bertuzzi, gli uomini di Antonio Della Cella si risolsero ad appiccare il fuoco alla costruzione; a quel punto, accadde l’imponderabile: la Cavalli mandò la figlia, una bambina, a chiedere il cessate il fuoco agli assedianti per permetterle di recuperare una vacca che si trovava nella stalla! Vi furono attimi di incertezza, poi la bimba venne allontanata, ma ormai era troppo tardi. Sfruttando quell’imprevisto i banditi, tra i quali il capobanda, sfondarono una parete sul retro e fecero perdere le proprie tracce nella notte.

Quando le fiamme si spensero, tra i ruderi fumanti il Capitano Tassi trovò i cadaveri di appena due banditi; un soldato spagnolo tagliò la testa di uno dei due, persuaso che fosse il Bertuzzi, e la infilzò su una picca. Con questo macabro trofeo, gli avetani si affrettarono a far ritorno nelle terre del Doria prima che giungesse sul posto il commissario ducale di Gambaro con i suoi soldati.
A Santo Stefano al Tassi, che aveva guidato la spedizione, venne tributata un’accoglienza da eroe. I rapporti tra i Doria e i Malaspina precipitarono: non si arrivò ad uno scontro aperto, ma fino al 1602 rimase in vigore un reciproco bando rivolto verso i mercanti dei due feudi. Quanto al Bertuzzi, non tornò più a infastidire gli abitanti di Santo Stefano. Alcuni anni dopo, lo incrociarono alcuni mulattieri della Valle Sturla, ai quali confidò i suoi desideri di vendetta verso i Doria, il Tassi e i Della Cella, ma non risulta che i suoi foschi propositi abbiano mai avuto seguito. (contributo di Giacomo A. Turco - “Giames”).


chiesa di Santa Maria Assunta a Retorto