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Maghi Indovini e Chiromanti al Vecchio Roma

“di Giorgio Vecchi”
Parché seimpar lé fa spöla gint delüsa, fassi ansius:
ura l’è una grama fiöla tribülä dal so murus, una spusa, un ammalä,
una mär col fiö suldä. (egidio carella).

“Ma ai nos teimp i me ragass, ag i’âvam bein i dutturass”,
così inizia una celebre poesia di Valente Faustini, su coloro che ai primi del secolo scorso, si spacciavano per medici vendendo sciroppi ed impiastri di nessuna reale efficacia ai creduloni. L’ingenuità di certe persone è incredibile e tuttavia si può comprendere come certe fastidiose malattie potessero spingere un tempo la gente senza più speranze a rivolgersi a ciarlatani e pseudo guaritori pur di avere sollievo a dolori e patimenti. Più difficile è capire come si potesse far ricorso a maghi, astrologi e chiromanti per risolvere questioni d’amore o d’interesse. Eppure negli anni intorno al 1950 pullulavano in Italia questi strani personaggi che per sbarcare il lunario avevano scelto questa dubbia professione e ancor oggi nel XXI secolo questa florida stirpe non è del tutto scomparsa.


albergo roma – foto laura badiini

All’Albergo Roma di tanto in tanto ne capitava qualcuno che si faceva precedere da pomposi annunci su Libertà o altri giornali. Ricordo che uno dei più noti e popolari era il sedicente Mago di Napoli che come recitava l’avviso si sarebbe fermato solo per pochi giorni presso l’hotel Roma e che si autodefiniva esperto in filtri miracolosi per attrarre la persona amata, incomparabile nel risolvere conflitti amorosi, e a sciogliere vincoli sentimentali sgraditi, abilissimo, inoltre, a procurare la fortuna, predire il futuro e via dicendo. Ma la schiera di questi maghi e veggenti pareva inesauribile, c’erano pure il mago di Sorrento, quello di Trapani, quello di Palermo nonché, referenziatissimo, quello di Roma.. Mio padre udendo la sfilza di attributi di cui essi si gratificavano soleva riderne con noi, e spesso si rivolgeva agli amici, frequentatori abituali della sala B, per annunciare l’arrivo di qualcuno di questi portentosi personaggi. Allora era tutto un fiorire di arguzie e di facezie di cui facevano le spese alcuni dei più noti pëssgatt. A Gion, ad esempio, consigliavano di rivolgersi al mägu per farsi risanare la vista dato che ormai le lenti che portava avevano acquisito uno spessore impossibile da contenere nelle normali montature. A Turinu Guastoni invece, consigliavano un consulto per fargli recuperare la voce tenorile sebbene quello, piccato, ribattesse che lui non l’aveva mai perduta. Ma la cosa più divertente, crudelmente divertente aggiungerei, era tener d’occhio la processione di persone che, una volta sistematosi in albergo, il veggente di turno riceveva. Di solito mio padre, -dato che pagavano sempre senza tirare sul prezzo- metteva a loro disposizione una specie di suite, o saletta immediatamente adiacente alla camera perché potessero avviare senza disturbo le loro consultazioni. Le donne costituivano sicuramente la clientela più numerosa: ce n’erano di tutte le età sebbene prevalessero le ragazze giovani, invischiate in chissà quali garbugli amorosi, grandi lettrici di Grand Hotel, Intimità o Bolero Film. Costoro salivano disinvolte, senza alcuna vergogna, quasi con l’aria di sfida nei confronti di alcuni clienti che si appostavano la mattina nei pressi dello scalone che conduceva alle camere del primo piano per spiare il movimento. Fioccavano le battute e gli apprezzamenti anche salaci sull’avvenenza delle signorine finché non interveniva mio padre a disperdere quei buontemponi. Ma talora si presentavano anche clienti d’altro genere, donne anziane dall’aria sofferente o macilenta che sgattaiolavano su per lo scalone con aria colpevole. Di tanto in tanto si scorgeva anche qualche maturo signore che saliva furtivo forse in cerca di consolazione dai travagli familiari. I maghi dispensavano consigli e rassicurazioni a tutti. Quegli abili improvvisatori sapevano sfruttare un certo effetto placebo o dispensare agli afflitti quel che essi in cuor loro volevano sentirsi dire. Così che spesso le persone scendevano sollevate con un debole sorriso su quei volti poco prima sofferenti.


la piacentina Osiride nel suo atélier

Ai maghi si alternavano spesso le chiromanti, esperte nel gioco delle carte che facevano la concorrenza alla Osiride, al secolo Amelia Ligutti, la nostra stimata chiromante cittadina che aveva il suo frequentato studio in Via Borghetto 8 e qualche volta si faceva vedere anche nel nostro albergo. Spesso si trattava di donne ancor giovani e avvenenti con una cert’aria zingaresca che a me causava i primi trasalimenti erotici. Erano abili queste professioniste a manipolare i tarocchi, predicevano invariabilmente, salvo pochissime eccezioni la buona sorte e future soddisfazioni in campo finanziario. Alcune si dicevano specialiste in attività divinatorie alternando alle carte la classica sfera di cristallo. A me parevano tutte ciarlatane forse perché mi facevo influenzare da mio padre e dai poco lusinghieri apprezzamenti degli altri pëssgatt.


predire con la sfera magica

Mia madre invece, assai diffidente nei confronti dei maghi, era stranamente affascinata dalle veggenti, o meglio aveva di loro una certa soggezione, quasi un timore. Credeva che possedessero poteri negativi o funesti che era meglio non sfidare, per cui girava loro al largo. Molto più tardi ho saputo il motivo di quella che mi pareva una sua superstizione bella e buona. Durante la guerra, disperate per non aver notizie di zio Gigi prigioniero in Africa, lei e zia Iucci avevano pure loro fatto ricorso ad una di queste chiromanti per averne notizie. L’esito del consulto era stato negativo come poi purtroppo i fatti confermarono. Di qui una atavica paura che era cresciuta in lei fino a fargliele considerare poco meno che profetesse di disgrazie. Recentemente ho saputo da un amico di Pippo Cordini, un episodio da lui narrato che mi ha fatto ridere a crepapelle. Vale la pena riportarlo. I Cordini facevano parte di quegli strani inquilini che, come ho già avuto occasione di ricordare, abitavano uno degli appartamenti al terzo piano del fabbricato ospitante il vecchio Roma. Pippo era di qualche anno maggiore di me per cui non eravamo propriamente amici. Qualche volta si era unito ai giochi che architettavo con Rosanna e Lucia ma lui era troppo grande per noi e ci snobbava. Era un giovane alto, magro e un po’ allampanato a cui ben si adattava il nome del personaggio disneyano. Pare che una sera lui e alcuni amici giocassero un tiro mancino ad uno di questi maghi, ospite da alcuni giorni presso di noi. Forse c’era stato qualche screzio con lui o forse più semplicemente erano giovani e amavano gli scherzi. Fatto sta che una sera attesero il veggente sulle scale semibuie che conducevano alle camere del primo piano. Quando il malcapitato fu a tiro, lo assalirono con calci e spintoni gridando “Ciappa e porta a ca! S’at ze un mägu parché a te mia previst la batüda?” (testo tratto dal libro di ricordi “Albergo Roma e dintorni” di Giorgo Vecchi, disponibile prossimamente per i tipi della L.I.R, piacenza).


veduta del vecchio Roma a Piacenza