penna

il Racconto del Violinista Fantasma

al direttur d’urchestra,
con i’occ’ da inspritä
la riga in dla man destra
l’fa segn d’incuminciä.. “e.carella”

Tra la schiera chiassosa e pittoresca degli habitué del vecchio Albergo Roma alcune figure uscivano un po’ dal coro. Persone poco inclini alle buffonate tanto in voga tra quei brillanti mattacchioni. Tra esse, per sobrietà e riservatezza, si distingueva Giacomino Mazza. Era costui un violinista del Municipale, persona mite e dolcissima di cui ho un ricordo ben preciso. I miei parenti, e mia madre in particolare, lo ammiravano e lo trattavano con deferente familiarità, se mi si permette l’ossimoro. Il fatto è che Giacomino attirava la simpatia di tutti ma anche il rispetto. Di regola, non amava dare giudizi su questo o quell’artista, ma quando lo faceva era con semplicità e competenza. Lui si muoveva in punta di piedi con un suo garbo antico. Quando prese a frequentare assiduamente il nostro hotel ero un ragazzino di otto o nove anni e rammento che inizialmente mi ispirava una certa soggezione ma poi col tempo ne rimasi affascinato soprattutto dopo quanto narrerò. Sono sempre stato riluttante a coricarmi presto. Anche quando drucäva d’ la sogn cercavo di reagire, di non darlo a vedere, pur di non andare a letto; infatti il pensiero di restarmene solo nella grande stanza del numero cinque mi terrorizzava. Mia madre prometteva che mi sarebbe rimasta accanto finché non mi fossi addormentato ma di norma non avevo il sonno facile e lei non poteva restare con me all’infinito dato che la sua presenza giù in albergo era necessaria. Una sera mi ribellai con più ostinazione del solito e qualcuno disse che erano tutti capricci e che sarebbe stata salutare qualche buona sculacciata. Era presente presso il bureau in quel momento anche il buon Giacomino, il quale mi si avvicinò e di punto in bianco, presomi sulle ginocchia, iniziò a raccontarmi questa storia di cui diceva d’esser stato protagonista. Molti anni prima, una fredda sera del primo inverno, quando era ancora un giovane all’inizio della carriera e si contentava di sostituire qualche titolare indisposto, venne chiamato d’urgenza dalla direzione del Teatro Municipale. Si trattava di rimpiazzare un violinista di spalla caduto ammalato. La proposta gli fece molto piacere, per la prima volta avrebbe suonato nell’orchestra cittadina, inoltre da tempo desiderava incontrare il suo antico maestro, primo violino in quella formazione e affermato solista internazionale.


una serata al municipale

Il concerto era dedicato ad alcuni autori del melodramma italiano, si trattava di eseguire famosi pezzi orchestrali, dalla Manon di Puccini, alla Gazza ladra di Rossini, dalla Forza del destino di Verdi, alla Cavalleria di Mascagni. Passarono tutto il pomeriggio a provare ogni singolo brano. Il direttore, un calabrese molto focoso, era attento ad ogni dettaglio ed esigeva dall’orchestra una lettura rigorosa e al tempo stesso spumeggiante. Giacomino si sentiva rinfrancato dalla presenza del suo maestro che gli sedeva accanto e lo guidava con consigli e osservazioni adeguate. Più tardi loro due uscirono insieme e Franco V., il grande violinista suo mentore, propose di entrare in un bar per brindare all’incontro. Il concerto si tenne la sera dopo con grande successo di pubblico e di critica. Poi, come spesso accade, passarono alcuni mesi prima che chiamassero di nuovo Giacomino a suonare al Municipale. Lui nel frattempo era rimasto parecchio lontano da Piacenza per ragioni di lavoro. Aveva infatti dato vita, insieme ad altri giovani colleghi del conservatorio, ad una formazione cameristica che tenne alcuni concerti d’esordio nelle città vicine riscuotendo un certo successo. Fu la primavera successiva, quando la città pareva ridestarsi dal lungo letargo invernale, che ricevette una nuova chiamata dal nostro teatro. Stavolta a guidare l’orchestra era un famoso direttore straniero, Anton C., e in programma c’era il concerto per violino di Brahms. Giacomino era convinto che ad eseguirlo fosse il suo amato maestro e già si rallegrava in cuor suo per il prossimo incontro. Grande fu invece la sua delusione quando si trovò davanti Karl W, un giovane solista probabilmente tedesco o austriaco. Pensò allora che Franco V. fosse presente nel consueto ruolo di primo violino ma si avvide che questa volta non faceva parte dell’organico. Timido e riservato com’era, non osò domandar nulla ai colleghi. Le prove furono esaltanti, il direttore aveva il carisma che tutti gli riconoscevano, dirigeva con piglio sicuro e personalità, ma la più grande impressione la destò il solista, che fu il vero trascinatore dell’orchestra. Tutto faceva prevedere per lui una straordinaria carriera. Giacomino ne restò incantato e commosso. La prova fu davvero impegnativa. Questa volta, tuttavia, non ebbe bisogno di consigli sia perché la nuova recente esperienza cameristica l‘aveva molto maturato sia perché quel pomeriggio si sentiva trascinato dalla straordinaria intesa che conduttore e solista era riusciti a creare quasi per incanto, così che tutta l’orchestra li seguì senza sbavature. Giacomino rincasò in uno stato di grazia e d’esaltazione inconsuete, il giovane solista l’aveva stregato e lungi dal provare gelosia nei suoi confronti era ammirato davanti a tanta perizia e forza espressiva.


folla al teatro municipale 1916

L’indomani ebbe luogo il concerto che ottenne un successo straordinario con applausi che si prolungarono per vari minuti. Alla fine tutti si attendevano il bis di rito. Invece apparve sul palcoscenico il famoso direttore che, ottenuto il silenzio, fece un annuncio a sorpresa. Fuori programma l’orchestra avrebbe eseguito l’allegretto dalla settima sinfonia di Beethoven in memoria del violinista Franco V. che era stato un eccellente primo violino dell’orchestra locale. In effetti quel movimento l’avevano provato a lungo nel pomeriggio ma Giacomino, ultimo arrivato, non conosceva le ragioni di quella scelta che nessuno si era preso la briga di comunicargli. Come nulla sapeva della scomparsa di Franco V., notizia che lo riempì di costernazione. Evidentemente mentre lui era lontano da Piacenza il suo caro maestro era morto e stranamente non ne era venuto a conoscenza. Mise dunque tutta il suo impegno nell’esecuzione del movimento che ottenne una vera ovazione da parte del pubblico. Fu alla fine, quando già i primi spettatori si apprestavano a lasciare il teatro, che comparve sul palcoscenico Karl W., il giovane solista. Mostrando al pubblico il suo strumento, un prezioso Amati , spiegò, con voce rotta dall’emozione, che era un dono di Franco V. “Era il violino che usava nelle grandi occasioni. Me lo aveva promesso un anno fa, pochi giorni prima di morire, voleva che lo suonassi io che ero stato suo allievo a Salisburgo qualche anno prima”.

Così disse il giovane virtuoso che esegui seduta stante un difficile capriccio di Paganini. Alla fine del pezzo tutti applaudirono soddisfatti e commossi. Anche Giacomino si unì all’applauso ma un’inquietudine si andava facendo strada in lui. Karl W aveva parlato di un anno addietro e di pochi giorni prima della scomparsa di Franco V. I conti non tornavano. Dalla sera di quel primo concerto al Municipale non erano passati che pochi mesi, cinque al più, e lui aveva suonato con accanto il maestro ed insieme, dopo la prova, erano andati a bere qualcosa al Bar Italia di Piazza Cavalli. Com’era possibile tutto ciò? In preda a una forte emozione, volle immediatamente sincerarsi di non essersi sbagliato. Raggiunse nel ridotto, ove era stato preparato un ghiotto rinfresco, il giovane Karl, attorniato da amici ed estimatori, gli si avvicinò e chiese di potergli parlare per un attimo. Il collega, che in precedenza aveva scambiato con lui solo poche parole, acconsentì immediatamente. “Scusa la domanda strana ma mi sai dire quando è scomparso il maestro V.? Tu hai parlato poc’anzi di almeno un anno o sbaglio?” L’altro lo guardò un pò sorpreso dalla domanda. “Fu nel marzo scorso. Era ricoverato a Milano e andai in ospedale a trovarlo. Fu allora che mi promise il suo bel violino e, pensa, oggi è la prima volta che lo suono in pubblico”. Stordito e frastornato Giacomino ebbe appena la forza di salutare il collega e di complimentarsi con lui. Subito si diresse verso casa in balia di opposti sentimenti. Avrebbe voluto interrogare gli altri membri dell’orchestra, far loro ricordare il concerto di quell’inverno, ma in cuor suo sapeva che non avrebbe risolto un bel nulla. Di una cosa era certo: lui aveva suonato accanto al suo maestro quella sera d’inverno, non era un visionario, eppure secondo la logica dei fatti il grande Franco V. a quell’epoca doveva già essere cadavere da un bel pezzo. Un vero rompicapo. Ma le sorprese non erano finite. Appena rientrato in casa udì suonare alla porta. Era il suo vicino, un ometto gentile impiegato presso un notaio locale. “Signor Mazza – si affrettò a spiegare porgendogli un grosso pacco- questo pomeriggio qualcuno ha suonato alla mia porta, non sono riuscito a vedere chi era poiché quando ho aperto se n’era già andato. Sul pavimento c’era questo per lei”. Lo ringraziò perplesso ma un sottile presentimento si andava facendo strada in lui mentre con mani febbrili apriva l’involto. Ecco infatti apparirgli, tolte le imbottiture che lo proteggevano, il vecchio Guadagnini di Franco V., il violino che soleva utilizzare quando con lui si cimentava nelle quotidiane lezioni al Nicolini, strumento non eccelso ma certamente di buona fattura. Un biglietto lo accompagnava, poche scarne parole: “Al mio caro Giacomino, con immutata stima ed affetto”. Nell’angolo destro inferiore del foglio, un motto latino stampato: Donec ad metam. Null’altro.


antico violino al restauro

Qui terminò il racconto del buon Giacomino Mazza, che io avevo ascoltato con crescente interesse e trepidazione. Lui aggiunse che sperava mi fosse piaciuto. “Vedi, Giorgino, questa storia contiene un insegnamento, che spero tu, nonostante la giovane età, possa recepire. Tutti veniamo al mondo con le nostre virtù e i nostri difetti ma ci sono uomini che sanno eccellere sugli altri in virtù del loro talento, il “dono” come lo chiamo io, e sono pochissimi. Karl W. era uno di questi, difatti poi è divenuto uno dei maggiori interpreti della nostra epoca. Era dunque naturale che il nostro comune maestro trasmettesse a lui la preziosa eredità di uno strumento che si diceva appartenuto ad un allievo di Paganini. Chi meglio di lui poteva suonarlo? Il mio maestro aveva visto giusto. Lui sapeva che io sarei divenuto un buon esecutore con un discreto avvenire alle porte ma il talento è una dote rara e Franco V. sapeva che non la possedevo, né mai l’avrei posseduta. Ma poiché mi stimava ed apprezzava volle lasciare anche a me una preziosa testimonianza della sua arte indiscutibile, quel Guadagnini, strumento non perfetto ma consono alle mie capacità. Nella vita bisogna sapersi accontentare, caro Giorgino, andare avanti “dritti alla meta”, con serietà e impegno e non importa se non siamo nati tutti col marchio della genialità. Abbiamo avuto da Dio, o dalla sorte, questa ineguagliabile opportunità di essere venuti al mondo e dunque il nostro compito è saper essere degnamente all’altezza delle circostanze fino alla fine. Tante volte mi sono chiesto cosa accadde davvero quella sera del tardo novembre al mio primo concerto importante. Non l’ho mai capito ma mi piace credere che il fantasma del mio maestro abbia svolto in quell’occasione il ruolo di angelo tutelare che mi guidò e consigliò in quell’importante prova. Quanto a Karl W. non ho più avuto occasione d’incontrarlo. Lui ormai è un grande virtuoso del violino, una vera leggenda, mentre io sono solo uno stimato professore della nostra orchestra locale. Ma va bene così, non mi lamento. La cosa curiosa è che Karl doveva sapere molte più cose su di me di quanto palesasse quella sera a teatro nell’unica occasione in cui ci incontrammo. E dico questo poiché ogni dodici aprile, anniversario di quel famoso concerto al Municipale, ricevo da lui una cartolina dai luoghi più disparati del mondo, sempre con la stessa immancabile frase: “In ricordo del nostro amato maestro”. Quella notte andai a dormire sereno dopo il bel racconto di Giacomino e sognai che sarei divenuto un grande pianista. La cosa poi purtroppo non si è avverata ma anch’io come Giacomino mi sono saputo accontentare di me e di quello che sono diventato e va bene così. (di Giorgio Vecchi - finalista al premio firenze 2012).


giovane violinista compositore