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si Spara a Castel San Giovanni, in Valtolla e..

“di sergio valtolla & brigante della valtolla”

La prima scintilla si ebbe il 6 dicembre 1805, a Castel San Giovanni, ove erano stati riuniti numerosi abitanti delle campagne e delle vallate, giovani e padri di famiglia indistintamente, per essere arruolati tra le truppe del principe Eugenio, viceré d’Italia, che aveva imposto a Piacenza e Parma di fornire un contingente di 12.000 uomini. A tale proposito giova ricordare che la coscrizione obbligatoria era sconosciuta al nostro come agli altri Stati prerivoluzionari; il servizio militare era considerato una professione e, come tale, era volontario; esso richiedeva cioè una particolare vocazione. Nel ducato, poi, l’esercito non era mai stato numeroso e il pacifico duca Ferdinando non l’aveva certo incrementato.


schiera di briganti che si ribellarono ai soprusi

La coscrizione obbligatoria rappresentava quindi, per le nostre popolazioni, un intollerabile sopruso, un’aperta violazione della loro concreta libertà, un insopportabile onere personale, contrastante con le antiche consuetudini. A Castel San Giovanni i coscritti dichiararono di non volersi sottomettere; un agente di polizia fu ferito nel tumulto, un generale francese, giunto sul posto dopo la notizia dei disordini, rimandò a casa propria le reclute. Il successo di questo ammutinamento fece divampare l’insurrezione. È l’anima cristiana del popolo che si ribella spontaneamente di fronte all’empietà. Queste popolazioni reagivano quasi istintivamente, senza curarsi di conoscere la forza e il numero di coloro che volevano loro imporre la rivoluzione; esse rifiutavano categoricamente ogni compromesso e ogni accomodamento e, se necessario, erano capaci di impugnare le armi, pochi vecchi archibugi magari, contro i moderni fucili dei veterani delle armate repubblicane, dimostrando con ciò che la refrattarietà alla coscrizione non era imputabile a viltà, ma solo all’aborrimento dei principi rivoluzionari. La vallata di Tolla fu la prima a prendere le armi contro i francesi e da qui la ribellione si propagò nelle altre valli; di paese in paese, di parrocchia in parrocchia, in pochi giorni i tumulti si estesero a tutte le montagne del piacentino.

Gli insorgenti di tutte le valli, come se rispondessero a un piano prestabilito per chiamarsi vicendevolmente a raccolta e per suscitare agitazione nei villaggi, adottarono il sistema di sonare a martello le campane delle chiese. In pochi giorni la val Taro, la val Ceno, la valle del Noveglia, dello Stirone, al territorio di Salsomaggiore e dei circostanti Castelli, la val Stirone, la val Nure, la val Trebbia, la val Tidone, oltre alla val d’Arda e Tolla, si sollevarono contro il governo napoleonico. Gli insorti si organizzarono in vari gruppi e reparti, distinti per valli, nominarono capi tratti dalle loro file, si procurarono armi di ogni genere e qualità: vecchi schioppi, pistole, sciabole e, in mancanza di questi, falci e tridenti. Così armati, dai loro appostamenti situati sui punti più elevati delle colline e delle montagne, scendevano di tratto in tratto nei più grossi paesi delle vallate, occupandoli militarmente, allontanandovi i giacobini e i “napoleonisti”, i commissari imperiali e gli impiegati del governo, che si rifugiavano a Piacenza; essi imponevano anche requisizioni, in natura e in denaro, per il loro mantenimento e arruolavano nuove persone.


scena di una battaglia ottocentesca

(..)La reazione delle popolazioni al nuovo ordine rivoluzionario, che non si era manifestata all’epoca dell’invasione francese del 1796, si verificò a causa di questi provvedimenti, dimostrando così che le rivolte anti-francesi, di cui la nostra è forse l’ultimo esempio nell’Italia settentrionale, non furono determinate né dalla crisi economica, che negli anni precedenti si era già fatta sentire in seguito alle requisizioni forzose imposte dal Bonaparte, né da una cieca xenofobia, poiché i francesi, già da anni, erano veri padroni del ducato, ne da rivendicazioni sociali contro borghesi e proprietari, che dai nostri insorti non furono toccati, né infine dall’istigazione di nobili, che anzi nel nostro caso si adoperarono attivamente per sedarla. La rivolta fu invece la spontanea reazione armata di una popolazione cattolica, offesa nei propri sentimenti religiosi da leggi empie e conculcata nelle proprie libertà concrete da vessazioni e requisizioni inique; essa si manifestò, non a caso, proprio in quell’ambiente che aveva conservato intatto il patrimonio delle virtù cristiane che fece la grandezza e la forza dell’età medioevale: nelle vallate appenniniche (..). Carlo Emanuele Manfredi, un episodio di contro-rivoluzione nel ducato di piacenza 1805-1806.


i Briganti della Valtolla e della Valdarda: Banditi o Patrioti?
sicuramente spiriti liberi! ingenui, ma liberi!

Amanti della loro terra, delle loro tradizioni, anti napoleonici per necessità, ma anche anti borghesi, poveri cafoni maltrattati dal potere, da tutti i poteri forti! La storia, si sa, la scrivono i vincitori e i cosiddetti briganti, tanto al nord, quanto al centro che al sud sono stati dei perdenti. La storiografia ufficiale ha snobbato questi fenomeni che hanno interessato molte regioni italiane (allora erano stati sovrani o quasi) tra il 1700 e la fine del 1800 perché i loro protagonisti erano “scomodi” tanto per una lettura da destra quanto da sinistra. Per la destra quelle lotte erano “particolaristiche” e poco riconducibili alle premesse risorgimentali che propugnavano l’unità del Paese mentre da sinistra erano viste come lotte strumentalizzate dalla vecchia borghesia, clericale e anti progressista (il progresso era Napoleone?). Non importa che si trattasse di poveri contadini, di ingenui boscaioli, di intrepidi montanari perché erano ”fuori luogo”..fuori tempo. Eppure questi uomini rientravano in quel disegno federalista di “nazioni” tanto caro a Carlo Cattaneo.. anch’egli molto dimenticato.

In vallate dimenticate dal potere centrale degli Stati di allora si poteva sperare che dalla Francia arrivassero gli egualitari, i liberi e invece arrivarono i generali di Napoleone che non perdettero tempo nel sequestrare i muli, gli animali da lavoro di montagna e preteso l’arruolamento volontario dei giovani per formare l’armata italiana che avrebbe dovuto supportare la “liberazione” armata d’Europa che propugnava Napoleone (follie imperialiste).


vecchi schioppi, pistole e sciabole

I montanari si opposero, insorsero e furono duramente repressi molto duramente! La disperazione, la fame, la miseria, l’ingenuità di questi cafoni li portarono a morte sicura con forche, marasse e bastoni contro i cannoni e i fucili dei dragoni napoleonici. Vinti furono incarcerati e torturati…come si usava allora per estorcere le confessioni “spontaneamente” e quindi, reo confessi, impiccati o fucilati e le loro case e i loro villaggi bruciati.. Pedina incendiata, Vigoleno assaltata a cannonate dai napoleonici, i pochi muli dei boscaioli confiscati. Uomini e donne per secoli già costretti a sopravvivere in terre aspre, povere, dimenticate, senza una presenza istituzionale civile si videro “spogliati” dei pochi mezzi di sostentamento, a dover ancora una volta subire senza ricevere nulla, senza poter nemmeno parlare. In terre dove ampio fu, nei secoli che precedettero questi momenti, il fenomeno del “brigantaggio sociale” come stato di necessità dall’indigenza totale alla quale era costretta l’intera popolazione ”abbandonata a se stessa dal potere costituito”.
“Banditi! Sono banditi! Godono della connivenza delle popolazioni locali che li nascondono, li nutrono..li difendono con i loro preti in testa.. i soldati francesi non fanno mai grazia ai ribelli.. fate bruciare cinque o sei paesi e fucilare una sessantina di persone..” questi erano i propositi napoleonici, nel pieno della sua potenza (1805-06) contro questi poveri montanari del ducato di Parma e Piacenza. Tra i centri più attivi anti napoleonici vi furono Pellegrino parmense, Bardi, il Monte Moria, Vigoleno, Salsomaggiore, Boccolo, Tarsogno e tanti paesini tra cui Pedina bruciato come Mezzano Scotti. La tecnica era sempre la stessa: terrorizzare e ammazzare gente inerme per dare il buon esempio.. In queste zone i parroci, quasi tutti si schierarono con i loro parrocchiani e furono duramente, a loro volta, colpiti e repressi. A noi piace ricordare questi rivoltosi catturati e torturati e “convinti” d’aver fatto parte di atti contro l’autorità e meritevoli di punizione e fucilati.

Bussandri Giuseppe, detto ”Mossetta”, generale degli insorti, briganti delle valli dell’Arda, Valtolla e Ttirone di anni 30 fucilato il 2 Maggio 1806 alle 10 di mattina.
Gandolfi Giuseppe, nativo di Vigoleno, di anni 37 comandante di briganti rivoltosi fucilato l’11 febbraio 1806.
Cavazzuti Andrea, detto “il duca della valtolla” di anni 34 di Pedina fucilato il 28 aprile 1806.
Villa Marco, da Sperongia (valtolla), di anni 40 fucilato il 28 aprile 1806.
(valtolla's blog-cronache della valdarda).