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il Tram Ippotrainato dei Tinelli


Le cronache cittadine narrano che il 20 settembre 1902, in un sabato di sole, a Piacenza venne inaugurata, alla presenza del sindaco Boscarelli e delle più alte autorità, la prima linea tramviaria a trasporto equino. Così anche la nostra città si modernizzava, affiancandosi a Parma che già dal 1889 ne possedeva una. L’iniziativa era nata dall’intraprendenza dei fratelli Adamo e Giacinto Tinelli, agiati possidenti terrieri originari di Pontenure che avevano avviato in città, negli ultimi decenni dell’ottocento con buon successo, un’impresa di trasporti che faceva servizio pubblico di carrozze e vetture a cavalli in città e provincia. A tal proposito vale la pena ricordare che Maccari, al savattein, (alias Agostino Marchesotti, uno dei più significativi poeti dialettali dell’ottocento) ne parla nel suo componimento poetico “Il fèst d’Agost dal 92” di cui riporto i versi in questione: “A l’è vera che Tinell/ Tant Giasseint cmé so fradell/ Là i l’arevan preferì/ E par qust an so còs dì./ Ma chi creuddan, qui dèlè/ I ciappran di gran dinè,/Parchè fort al movimeint/ à Piaseinza s’farà seint”. Qui il Marchesotti si riferisce al luogo di svolgimento delle feste agostane, che si sarebbero tenute nella zona del Castello (oggi sull’area dell’ex Arsenale Militare) anziché fuori città dalle parti del Poligogn (cioè del Poligono di tiro) come avrebbero desiderato i Tinelli. Per questo nel poema sembra volerli rassicurare che comunque non ci avrebbero perso dato il forte concorso di pubblico. La Ditta Tinelli aveva sede in Via Sopramuro 20, addossata sul lato sinistro della chiesa di San Francesco, e occupava l’area ove oggi sorge Piazzale Plebiscito. Al suo interno c’era un vasto cortile con le stalle dei cavalli. Mia madre, nipote di Adamo Tinelli, mi raccontava che le stalle ospitavano dai cinquanta ai sessanta cavalli e c’erano ampi depositi per carrozze, brum e vetture varie che noleggiavano per tutte le occasioni. Accanto avevano pure la casa d’abitazione.


la vettura Giardiniera dei fratelli Tinelli alla stazione

I fratelli Tinelli avevano presentato in Municipio nell’aprile di quell’anno un ambizioso progetto, redatto dall’ingegner Manfredi, per costruire una linea tramviaria da Piazza Cavalli alla Stazione e viceversa. Esso fu approvato nel giugno dello stesso anno e in pochi mesi vennero collocate le rotaie sul percorso che passava per via delle Saline, (attuale via Cavour), svoltava in via Dazio Vecchio (via Romagnosi), sbucava in Piazza Duomo e da lì attraverso via delle Tre Ganasce (via Legnano) giungeva in via Roma (allora Strada Maestra di San Lazzaro) passando poi a lato della chiesa di San Savino fino alle cancellate daziarie di Porta Nuova, prossime alla Stazione Ferroviaria. Le carrozze del servizio tramviario erano due, ed erano state acquistate di seconda mano, riverniciate e rimodernate con eleganti sedili in velluto rosso e tendine ai finestrini. Venivano da Milano ove erano state sostituite con quelle a trazione elettrica. Il personale, che indossava vistose divise con bottoni dorati, era stato addestrato per riscuotere il prezzo della corsa: dieci centesimi per la sola andata, quindici per l’andata e ritorno. Nell’estate del 1903 fece la sua apparizione per breve tempo anche una spettacolare vettura giardiniera, con un piano superiore “a belvedere” che presto si rivelò inadatta, data la lunghezza, a transitare per le tortuose vie cittadine. Ce ne resta una significativa foto scattata davanti alla stazione. Per la verità sono pochissime le foto del tram a cavalli cittadino, non più di quattro o cinque. Mia zia materna mi raccontava che la maggior parte furono bruciate da mia nonna con la complicità di mia madre quando la ditta Tinelli chiuse i battenti verso la fine degli anni venti. Era successo pressappoco questo: dopo il fallimento della ditta Tinelli e il successivo trasloco nella casa d’angolo tra via Sopramuro e Piazza Cavalli, mia madre e mia nonna, di comune accordo, vollero lasciarsi dietro le spalle ogni traccia del passato e fecero un falò di tutto ciò che ricordava loro le antiche disgrazie. Si salvarono solo poche cose ma le numerose foto che immortalavano i tempi del tram a cavalli e le molte gite con carrozze ed auto fornite dalla ditta Tinelli andarono distrutte irrimediabilmente. Anni dopo un giorno Ernesto Prati, il direttore del nostro quotidiano, telefonò a mio padre chiedendogli se in famiglia avessimo qualche foto del tram a cavalli per un servizio che doveva uscire su Libertà; era buon amico di papà e sapeva che aveva sposato una Tinelli. Lui dovette raccontargli la verità, erano finite tutte al rogo. Prati gli disse allora che il giornale ne possedeva una abbastanza buona che sarebbe stato lieto di mettergli a disposizione. E’ quella che compare in quasi tutti i libri fotografici sulla vecchia Piacenza in cui si vede il tram a cavalli fermo nella piazzetta Mercanti in un giorno d’inverno. Da quell’iniziativa, definita “ardita” per l’epoca, i fratelli Tinelli contavano di ricavare buoni profitti, invece essa finì per risolversi in un fiasco. Vale comunque la pena narrare alcuni episodi semicomici che ne caratterizzarono la travagliatissima vita.


il tram a cavalli in partenza da piazzetta dei mercanti

Il primo inconveniente si palesò sin dall’inizio a causa della infelice disposizione delle rotaie che provocava frequenti deragliamenti delle vetture. In particolare alla stretta svolta di via Dazio Vecchio, era quasi consuetudine che il tram uscisse dai binari e toccava allora al personale del tram, coadiuvato da passeggeri e garzoni dei negozi adiacenti, riportarlo in linea tra lazzi e commenti poco benevoli. Ciò provocava le ire del prozio Giacinto detto “’l biundein” che era solito girare con un potente fischietto, assicurato alla vita da un vistoso cordone, che usava come segnale per far ripartire il veicolo. Le vicissitudini del tram a cavalli furono tanto frequenti e vistose che Valente Faustini ne fece una burlesca e vivace descrizione nella poesia, Al tramvai al s’è insapplä dove tratteggia con insuperabile maestria l’amico Cinto Tinelli. Questi, a quanto risulta, era un personaggio popolare nella Piacenza d’allora, famoso per il carattere irascibile (il Faustini nella poesia lo descrive “un po’ inrabì”) che gli procurò frequenti scontri con i vetturali gelosi del suo tram. Costoro temevano che il nuovo servizio li avrebbe gravemente danneggiati per cui escogitarono vari sistemi per impedirne un regolare svolgimento. Già il 26 settembre 1902, a pochi giorni dall’inaugurazione della tramvia, “Libertà” riferiva di un diverbio, per motivi di concorrenza, fra il cocchiere dell’omnibus dell’hotel “Due Cervi” e il Tinelli che si presero a pugni. Qualche mese dopo lo stesso giornale dava notizia, in un articolo intitolato “Sassi sui binari”, che ignoti avevano collocato due pietre, una alla famosa svolta di via Dazio Vecchio e l’altra in via San Savino, per bloccare il tram. Facile pensare che il “vile attentato” fosse operai dei fiaccherai, le cui vetture sostavano stabilmente in Piazzetta dei Mercanti. Un’impresa ancor più temeraria costoro la compirono quando, forse con la complicità di qualche dipendente della ditta, riuscirono a somministrare nottetempo abbondanti dosi di purgante ai cavalli del tram con conseguenze facilmente immaginabili. Il servizio venne sospeso per un paio di giorni e a causa della puzza molti rinunciarono a servirsi del tram per qualche tempo. Già da prima si riteneva che i poveri animali fossero inadatti al trasporto essendo, più che mansueti d’indole, vecchi ed acciaccati, tanto che qualcuno al loro passaggio esclamava, notandone la lentezza,: “L’è ôra ‘d mangiâja”.

Quell’inverno del 1903, particolarmente rigido e ricco di precipitazioni, rappresentò un ulteriore grave inconveniente per le fortune della nuova tramvia. Nevicò abbondantemente e sorse il problema di mantenere pulito lo spazio riservato alle rotaie. Nella convenzione tra i Tinelli e il Municipio era fatto obbligo ad essi di tener sgombro il percorso per cui nacquero diatribe con gli abitanti delle strade interessate che non intendevano assolutamente spalare l’abbondante neve caduta. Ancora una volta Cinto Tinelli, mostrando il lato peggiore del suo caratteraccio, ebbe a polemizzare duramente con un funzionario comunale che lo querelò e alla fine fu condannato a pagare una certa somma a titolo di risarcimento. Nel corso dei mesi successivi furono elevate ulteriori lamentele in città perché il funzionamento del tram era legato agli umori dei titolari che talvolta, senza alcuna valida ragione, sospendevano il servizio. Tutto ciò contribuì a diffondere un’aura di scetticismo sul tram ippotrainato, come pomposamente era stato definito dai cronisti d’allora, il quale ebbe vita breve. Durò in tutto dal 1902 al 1908 quando venne sostituito dal moderno tram elettrico. (Giorgio Vecchi).