penna

lo Studio di Giacobbi

di giorgio vecchi


giacobbi in giacca e farfallino con alcuni stradini

Di tutti i pittori che frequentavano il vecchio Roma, Ernesto Giacobbi era certamente il più schivo e solitario. Lo ricordo sempre abbronzato con un abito estivo color avorio seduto da solo a uno dei tavolini sistemati nel cortile con il suo quartino di bianco che centellinava con rigorosa parsimonia non perché fosse taccagno ma per uno stile di vita che lo caratterizzava e la cui dote precipua era la sobrietà. Il senso della misura che credo lo accompagnò sempre nel suo itinerario esistenziale. Eppure non era uno che si tirasse indietro se c’era da dare un parere, un consiglio; anche lui a modo suo partecipava alle attività dei pessgàtt ma lo faceva in tono minore, con discrezione, sempre in punta di penna. Dagli amici era considerato una persona seria, un specie di gentiluomo d’altri tempi e rispettato per questo. L’estrosità di Bot e l’arroganza di Ricchetti gli erano sconosciute, lui si considerava un modesto artigiano della pittura, ed era conscio dei suoi limiti ma anche del suo valore. I suoi ritratti accurati e introspettivi sono la puntuale e vivace rappresentazione delle sue notevoli doti.

Forse il suo mondo ideale era quello arcadico delle pastorelle e delle greggi belanti in paesaggi appena abbozzati ma che suggerivano una tranquilla esistenza, una pace interiore senza incrinature. E’ un giudizio azzardato poiché non posso dire di averlo conosciuto bene. Quando frequentava il Roma io ero un ragazzino timido e impacciato che si limitava a scrutarlo di lontano. Più tardi quando già il vecchio Roma non esisteva più ebbi una volta l’occasione di visitare il suo studio di via San Siro. Lui aveva per amico il prof. Serratore che all’epoca mi dava lezioni di ragioneria e computisteria. Serratore era un bell’uomo d’origine meridionale dalla folta criniera bianca. Da molti anni viveva a Piacenza dove si era sposato con una gentile signora piacentina. Avevano una figlia, Milena, poco più grande di me, che all’epoca era uno schianto, tutti la ricordiamo in città quando passeggiava superba per il corso. Io a quel tempo mi recavo un paio di giorni alla settimana a casa loro in via San Giuliano perché avevo dei deficit nella materia. Il professore era un esperto della contabilità e della partita doppia ma i suoi interessi principali credo fossero l’arte pittorica e la fotografia. Con Giacobbi credo si conoscessero da molti anni.


la dogana di arona

Un giorno Serratore dopo la lezione volle uscire con me e per strada mi propose di andare nello studio del suo amico Giacobbi. Accettai perché l’idea di ritrovare il vecchio pittore non mi dispiaceva. Inoltre ero curioso di vedere il suo atelier e le sue ultime creazioni. Giungemmo rapidamente nel palazzo di via San Siro, lui però non c’era, stavamo per andarcene quando giunse un pò trafelato scusandosi con il professore col quale evidentemente era d’accordo di trovarsi. Entrammo nel cortile di quell’antico palazzo e Giacobbi ci guidò in un locale a pianterreno ove aveva sistemato lo studio. Si trattava di una stanzone lungo e stretto sulle cui pareti erano in parte appese in parte semplicemente accostate decine di tele. La maggior parte rappresentavano paesaggi agresti con le immancabili pecore e pastorelle ma c’erano anche alcune tele di fiori e, cosa che mi colpì molto, diversi ritratti, alcuni ancora da terminare. Ne ricordo in particolare uno che rappresentava il busto di un prelato vestito di rosso, un prete di quelli ben pasciuti dediti più ai benesseri terreni che a quelli spirituali. Questo almeno pareva suggerire il quadro: c’era in esso una sottile ironia, non so quanto voluta. Serratore mi presentò al pittore ed io non potei fare a meno di ricordargli i giorni del vecchio Roma. Lui mi chiese di mio padre e soprattutto dello zio Angelo che era suo buon amico e con il quale aveva avuto frequenti contatti negli anni anteriori alla guerra. A lui aveva ceduto alcuni quadri che lo zio portò con sé a Montù dopo il suo ritiro dall’attività alberghiera.

L’incontro si protrasse ancora per qualche breve momento poi compresi che Giacobbi e Serratore avevano cose da dirsi che non mi riguardavano e mi accomiatai in fretta da loro. Uscendo dallo studio i miei occhi si posarono su un piccola tavoletta appesa vicino alla porta d’ingresso: rappresentava una giovane donna parzialmente nuda distesa su un letto sfatto, quasi supina con un braccio languidamente disteso fuori dalle lenzuola. Aveva una grazia impareggiabile quel piccolo ritratto che ben palesava la sua bravura nella sapienza del tratto e nella cura quasi maniacale del particolare. Lo vidi, e prepotentemente, d’impeto, lo desiderai ma ero uno studentello squattrinato e per di più timidissimo e non seppi chiederne il prezzo all’artista. Me ne è sempre rimasta una sorta di rammarico, di occasione non colta.


donna distesa sul letto

Poco tempo fa navigando sulla Rete ho rivisto quello stesso piccolo ritratto su ebay, il portale in cui si vende di tutto, non sono sicuro al cento per cento che il dipinto fosse lo stesso ma mi pareva proprio, a quasi mezzo secolo di distanza, la medesima tavoletta che tanto avevo desiderato. Il cuore mi balzò in gola e feci per fare la mia offerta poi mi avvidi che il quadro era stato ritirato dall’asta in quanto già venduto. Anche quella volta, pensai avvilito, avevo mancato la mia grande occasione.