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il Destino di Bruna Rasa

un ricordo per gli appassionati dell'Opera lirica

Possiedo un buon numero di autografi dei molti cantanti d'opera che frequentarono il Roma durante le stagioni teatrali. Alcuni di loro hanno lasciato il segno nella storia della lirica, come Ferruccio Tagliavini, Franco Corelli, Gianni Poggi, Antonietta Stella, Anna Moffo, altri sono rimasti pressoché anonimi. Ma tutti furono in qualche modo protagonisti, ebbero cioè il loro momento di gloria sul palcoscenico del nostro teatro. Cantare al Municipale di Piacenza era ancora nei primi anni '50 un titolo di merito anche se erano passati i tempi in cui la nostra città, come Parma, era considerata una piazza decisiva per decretare il trionfo o la bocciatura di una voce.

Il problema principale era la cronica mancanza di fondi, cosicché si allestivano spettacoli con cantanti di secondo piano e questo scatenava le critiche del pubblico degli appassionati, specialmente dei loggionisti che vedevano declassato il nostro glorioso teatro alla stregua di un piccolo trascurabile palcoscenico di provincia. Il circolo degli amici del bel canto che allora si denominava "Filo Lirica" ebbe a Piacenza per qualche tempo sede al vecchio Roma. Mio padre aveva diritto quale membro ospitante di utilizzare un palco di proscenio del sodalizio quasi sempre vuoto poiché i soci preferivano stare in loggione dove secondo loro l'acustica era ottimale per ascoltare e valutare le voci dei cantanti.

Fu così che, per sfruttare la disponibilità del palco, potei assistere a molte recite sia serali che pomeridiane. Spesso ci andavo con mio padre o con qualcuno dei soci. Eppure devo confessare che non riuscii mai ad appassionarmi al melodramma che mi sembrava uno spettacolo un po grottesco e macchinoso. Naturalmente qualche opera popolare come La Traviata, La Bohème o la Tosca non mi dispiaceva ma devo dire che il clima di acceso entusiasmo per la lirica in cui si viveva al vecchio Roma lasciò poche tracce in me.

Oltre al maresciallo Pisati, capo della "claque" del loggione, uno dei più autorevoli membri del sodalizio era il barbiere Gerra che aveva bottega all'inizio di via Sant'Antonino. Costui compare in molte foto anche nel bel volume su Gianni Poggi "spirto gentil". Sia l'uno che l'altro erano vecchi amici di papà fin dai tempi in cui lui e i fratelli gestivano nella piazzetta della Grida, laterale rispetto a Piazza Cavalli, il mitico ristorante "Bottegone" negli anni trenta, covo di appassionati melomani. Al Roma il Gerra capeggiava un gruppo di estimatori del bel canto tra cui Savino Ferranti, titolare del negozio di strumenti musicali e fine accordatore di pianoforti, Gaetano Metti, cognato dei miei zii Cassinari, che gestiva col fratello Cecco il noto colorificio, mio zio Gino Bassi, cognato di mio padre, Armando Ferrari detto "Vanettu al marmista" perché era titolare di un negozio di lapidi, Pirei Agosti, fratello della mia prozia Maria, l'inventore Legati, geniale radiotecnico, e tanti altri di cui ho scordato il nome.

Tutti questi pëssgàtt erano o si atteggiavano a intenditori e tutti avevano sempre qualcosa di originale da dire su questo o quel cantante. Spesso nascevano interminabili discussioni pro e contro questo o quell'artista, ma il culmine lo si toccò ai tempi della rivalità Callas Tebaldi. Zio Gino, ad esempio, era un fan della seconda e guai a chi si permetteva di farne la critica, lui e l'amico Vanettu Ferrari spesso erano ai ferri corti per questioni del genere.
Il vecchio Roma ospitò, come dicevo, vari artisti fin dai primi anni trenta, e spesso accadeva che al loro rientro in hotel dopo una recita convincente questi venissero accolti dai pëssgatt con una ovazione spontanea ed entusiasta. Se viceversa le cose erano andate male c'era il silenzio o il gelo ad attenderli. In questo i loggionisti erano spietati.


Tra gli artisti che frequentarono il Roma in quegli anni lontani mi colpì particolarmente la figura tragica di una soprano, Lina Bruna Rasa, la cui storia tristissima mi fu più volte narrata dalle mie zie che l'accolsero al Roma in varie occasioni. Lina Bruna Rasa era una soprano dalla voce potente con una promettente carriera davanti a sé. Aveva fatto una prima apparizione nel 1925 al Teatro La Fenice cantando brani della Gioconda e suscitando molti consensi. Entro la fine dello stesso anno, appena diciottenne, fece il suo debutto operistico nel ruolo di Elena nel Mefistofele di Boito al Teatro Politeama di Genova. Successivamente cantò al Teatro Regio di Torino nello stesso ruolo il 21 febbraio 1926 e fu scelta da Toscanini per l'apertura della stagione 1927 al Teatro alla Scala dove debuttò il 16 novembre di quell'anno. Mascagni la volle per la prima mondiale dell'opera Nerone e poi nella parte di Santuzza in Cavalleria Rusticana. Tra il 1926 e il 1933 la giovane soprano cantò in tutti i principali teatri italiani e stranieri. Viaggiava sempre con la madre che l'accudiva in tutto e si occupava di ogni minimo dettaglio, dal guardaroba ai rapporti spesso complicati con impresari e sovrintendenti.

Al Roma questa signora non passò inosservata poiché era persona alla buona che raccontava con orgoglio alle mie zie di quella brava figlia alla quale aveva dedicato tutte le sue energie e che a sua volta la venerava. Purtroppo, a quanto risulta, la giovane aveva un carattere debole e instabile ed era preda di frequenti crisi di nervi. La tensione accumulata dopo ogni recita finì per minarne gravemente la salute mentale. La morte della madre nel 1935 peggiorò la situazione obbligandola a sempre più lunghi periodi di assenza dal palcoscenico per curarsi in cliniche specializzate. Cominciò a compiere stranezze che riempirono di sconcerto le persone che le erano vicino. Spesso pareva totalmente assente rispetto a quanto la circondava, altre volte diceva di avere visioni di cose che solo lei vedeva. Eppure appena entrava sul palcoscenico riacquistava un completo controllo interpretando in modo sublime le eroine del suo repertorio. Ma presto divenne evidente che Bruna Rasa non avrebbe potuto calcare le scene ancora per molto. Nel 1942 fece la sua ultima comparsa nella Cavalleria Rusticana all'Arena di Pesaro. Poi la sua mente fu inghiottita definitivamente dalle tenebre. Trascorse i trentasei successivi anni della sua vita in un ospedale psichiatrico di Cernusco sul Naviglio-Milano ove morì nel 1984. (di giorgio vecchi).