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gli Ecce Homo di Antonello da Messina

di gianmarco maiavacca

Sul numero del 25 marzo scorso del settimanale della Diocesi di Piacenza-Bobbio “il nuovo giornale”, si può leggere un interessante contributo di Barbara Sartori dal titolo “L’ossessione di Antonello per il volto di Gesù”. L’autrice analizza -con ottima chiarezza espositiva- le versioni note dell’Ecce Homo dipinte dal pittore Antonello da Messina: sono 6 e le riproduciamo tutte qui a fianco, con l’indicazione di dove le stesse si trovano.


Antonello da Messina - autoritratto

Antonello da Messina, soprannome di Antonio di Giovanni de Antonio (Messina 1429 o 1430 – Messina febbraio 1479), fu il principale pittore siciliano del ‘400. Raggiunse il difficile equilibrio di fondere la luce, l’atmosfera e l’attenzione al dettaglio della pittura fiamminga con la monumentalità e la spazialità razionale della scuola italiana. I suoi ritratti sono celebri per vitalità e profondità psicologica. Durante la sua carriera dimostrò una costante capacità dinamica di recepire tutti gli stimoli artistici delle città che visitava, offrendo ogni volta importanti contributi autonomi che spesso andavano ad arricchire le scuole locali. Soprattutto a Venezia rivoluzionò la pittura locale, facendo ammirare i suoi traguardi, che vennero ripresi da tutti i grandi maestri lagunari come apripista per quella “pittura tonale” estremamente dolce e umana che caratterizzò il Rinascimento veneto.


Ecce Homo (Giovanni 19,5) è un’espressione che significa letteralmente “Ecco l’Uomo”. Si tratta della frase che Ponzio Pilato –allora governatore romano della Giudea– rivolse ai Giudei mostrando loro Gesù flagellato. Secondo quanto raccontato dai Vangeli, Gesù –al momento dell’arresto– venne ritenuto innocente dal Governatore ma, dato che i Giudei lo volevano giustiziare ugualmente, Pilato lo fece flagellare, credendo che questa pena potesse essere la massima che gli si potesse infliggere. Quando ebbero finito con tale punizione, Pilato ripropose ai Giudei il Cristo coperto di piaghe e ferite sanguinanti e disse “Ecce Homo” come per dire “Eccovi l’Uomo, vedete che l’ho punito?”. Ciò non fu però giudicato sufficiente, cosicché i sommi sacerdoti lo fecero crocifiggere.


Pare che Antonello da Messina sia stato il primo in Italia ad aver affrontato il tema. Il pittore si è confrontato a più riprese con l’immagine del Cristo incoronato di spine descritto nel Vangelo di Giovanni mentre Pilato –come anticipato sopra– lo presenta alla folla. L’artista messinese, nella sua lettura della Passione, intreccia questo episodio con l’immagine del Cristo flagellato alla colonna. Secondo l’autrice, Antonello ha trattato il volto di Gesù sei volte. La versione più antica, conservata in una collezione privata a New York, è una tavoletta minuscola, di soli 15x10 centimetri, dipinta su due facce: su un lato c’è San Girolamo in preghiera e sull’altro l’Ecce Homo. Databile intorno ai primi anni sessanta del Quattrocento, l’opera presenta alcuni elementi che torneranno nelle versioni successive: le lacrime, i lunghi capelli, la presenza del parapetto da cui si affaccia Gesù. Nella versione cronologicamente seguente, custodita nella Galleria di Palazzo Spinola a Genova, si nota una variazione nella collocazione del busto di Cristo, modellato da una luce radente che mette in rilievo l’espressione più malinconica che patetica del volto di Gesù.


Nell’esemplare che ora è al Metropolitan di New York –risalente pare al 1470– le ricerche di Antonello risultano arrivate a uno stadio avanzato: il busto –lievemente ruotato– si accampa nello spazio con monumentalità e pienezza, lo sguardo del Cristo, carico di dolore e angoscia, cattura lo spettatore. Non compare la corda attorno al collo di Gesù, un particolare che lo assimila ad un altro Ecce Homo –datato 1474– un tempo conservato in Polonia nella collezione Ostrowsky. Il punto d’arrivo delle ricerche di Antonello da Messina sul tema dell’Ecce Homo è il Cristo alla colonna esposto a Parigi al Louvre, in cui l’artista dimostra di aver fatto tesoro dell’esperienza veneziana. Tornano dettagli delle versioni precedenti come la corda, la colonna, le lacrime e la corona di spine. La figura esprime una straordinaria forza drammatica: la testa scorciata, gli occhi rivolti al cielo, le sopracciglia aggrottate, la bocca semi-aperta in una sorta di doloroso colloquio con il Padre. L’ultima versione nota –e più cara ai piacentini– è la versione del Collegio Alberoni, la più grande della serie (48,5 x 38 cm). Risale al 1475 ed ha quindi compiuto 540 anni nel 2015 (sui problemi della datazione dell’opera si veda l’articolo di Elisabetta Tinelli in bncaflash n. 6/’14) La luce proietta sullo sfondo scuro l’ombra della colonna e del busto di Cristo ma dà pure risalto ai singoli particolari. Contribuisce a dare verità ottica al soggetto la tecnica, particolarmente raffinata: il quadro è dipinto a olio, con velature di colore trasparente.(bancaflash aprile 2016).

Nota- la Collezione d'arte del Cardinale Alberoni, un vanto per la nostra città Un patrimonio di inestimabile valore si ripresenta oggi all'attenzione dei piacentini. Le sale d'arte del Collegio Alberoni sono state da qualche tempo nuovamente aperte al pubblico, che potrà ancora ammirare la famosa collezione del Cardinale, che fu rappresentante di Casa l'arnese e Primo Ministro di Filippo V di Spagna.

Di grande pregio è la collezione di arazzi risalenti al Cinquecento -italiano e fiammingo- e la pinacoteca, ove spicca l'Ecce Homo di Antonello da Messina, mirabile oggetto d'arte appartenente all'Umanesimo napoletano. L'opera, un dipinto ad olio realizzato dal grande artista nel 1473. entrò a far parte della collezione romana del Cardinale nel 1735. A Piacenza dal 1761, il quadro è stato sottoposto nell'ultimo secolo ad alcuni delicati restauri.