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la Scomparsa del Ritratto di Balbo

di giorgio vecchi

I quadri di Bot che l’artista aveva ceduto a zio Angelo quando questi gestiva con mio padre l’Albergo Roma se ne andarono con lui a Montù quando lo zio si ritirò, assai presto, dall’attività alberghiera. Zio Angelo era sempre stato poco incline a svolgere il lavoro grosso in albergo. Come ho già detto altrove era l’intellettuale della famiglia e a lui piacevano soprattutto le pubbliche relazioni in cui davvero se la cavava egregiamente sfoggiando cognizioni in campo artistico e letterario che praticamente aveva acquisito da sé. Ne è rimasta una preziosa testimonianza nel già citato articolo del giornalista Elèmo D’Avila che su un giornale di Cuneo ci parla di una sua visita a Piacenza nell’aprile del 1935 e delle sorprendenti scoperte che fece nella nostra città. Tra esse la conoscenza del direttore dell’hotel presso cui alloggiava, il Roma per l’appunto, che lui descrive come persona colta e competente in fatto di arte e letteratura. Il D’Avila rimase sorpreso anche per la presenza in sala da pranzo di vari quadri di autori moderni e tra essi il ritratto di Italo Balbo eseguito con grande fantasia dall’artista Bot. Ne rimase tanto impressionato che volle incontrare il pittore piacentino di cui tracciò, sempre nel medesimo articolo, un breve curioso ritratto.


etichetta vino - disegno di Bot

Con Bot zio Angelo ebbe più di una semplice conoscenza o trattativa commerciale, tra i due era nata da epoche precedenti (voglio dire dagli anni del ristorante Bottegone) una vera e propria amicizia tanto che posso affermare con cognizione di causa che anche Bot in un certo senso collaborò alle fortune dell’Albergo Roma, da pochi anni gestito dalla famiglia Vecchi. Sappiamo infatti che l’estroso artista, per sbarcare il lunario, si dedicò attivamente anche al settore pubblicitario ed infatti qualcosa è rimasto in famiglia a documentare tale attività come le etichette per i vini o le cartoline dell’Hotel da lui preparate. Ma Bot e zio Angelo condividevano anche la passione per l’estetica futurista e l’adesione convinta al fascismo. Zio Angelo fino alla fine degli anni venti fu comandante dei balilla di Montù e diverse foto lo mostrano impegnato a far eseguire complicati esercizi ginnici sul piccolo piazzale antistante le scuole. Sono certo, anche perché lo zio me ne parlava spesso negli ultimi anni, che Bot fu da lui aiutato economicamente e addirittura sfamato in certi particolari momenti di penuria. In tal senso dunque i quadri erano probabilmente un modo per sdebitarsi con lui soprattutto perché lo zio apprezzava davvero l’arte di Bot e mi ripeteva spesso che un giorno gli sarebbe stato dato il giusto apprezzamento che meritava. A Piacenza rimase però un pezzo importante della piccola collezione dello zio, proprio il quadro a Italo Balbo a cui accennavo prima. justify

italo balbo - 18° biennale di venezia

justify Il dipinto, in perfetto stile futurista, era stato presentato nel 1932 alla 18ª Biennale di Venezia. Balbo, come è noto, fu un importante mecenate dell’artista piacentino invitandolo più volte in Libia quando ne divenne Governatore. Non conosco le ragioni per cui zio Angelo lasciò al Roma un quadro che, celebrando il gerarca, era anche una evidente apologia del fascismo. E ancora più incomprensibile mi risulta se penso che mio padre non fu mai fascista e anzi avversò prudentemente il regime, come era nella sua natura di uomo mite e onesto. Perché venne lasciato a far bella mostra di sé un quadro che certo mio padre non amava? Posso azzardare qualche modesta spiegazione. Era nota negli ambienti cittadini l’avversione di papà al Fascio e forse quel quadro voleva in qualche modo rassicurare le autorità ed evitare così possibili rappresaglie. La verità potrebbe essere anche più semplice: Balbo era stato un frondista del regime e forse mio padre lo aveva in simpatia. Di questo non sono certo ma potrebbe essere stato così. Oppure, spiegazione ancora più semplice, si dimenticarono tanto mio padre che mio zio di togliere il quadro che non doveva fare cattiva figura in sala da pranzo come appare dall’unica foto in mio possesso.


il quadro di balbo esposto nel salone del roma

Quando il Fascismo cadde mio padre avrebbe potuto semplicemente ritirare quel quadro e riporlo in luogo sicuro. Del resto nessuno poteva accusarlo di essere un fiancheggiatore del regime, i suoi amici erano tutti socialisti o comunisti, e alcuni di essi dopo la Liberazione ebbero incarichi importanti in città. Papà invece ebbe a mio parere un’idea bislacca, sistemare il quadro nei locali dell’Associazione Commercianti ove lui si recava quasi quotidianamente in qualità di dirigente della categoria degli albergatori cittadini. Temeva, mi spiegò lui stesso una volta, che il quadro venisse danneggiato o addirittura distrutto per ragioni politiche ora che il regime era caduto. Il ritratto di Balbo rimase per qualche tempo alloggiato ai Commercianti in attesa che le acque si calmassero.

Quel che invece mio padre non aveva previsto è che quel quadro facesse gola a qualcuno probabilmente interno all’Associazione. Fatto sta che un bel giorno il Balbo scomparve dalla circolazione e ancor oggi non si sa dove sia finito. Mio padre aveva dei sospetti su una persona, tra l’altro amico suo, ma non avendo prove non intraprese mai azioni contra la stessa. Esiste una sola foto che documenta la presenza del quadro nella sala da pranzo del Roma, ma è alquanto sbiadita. Del quadro esistono invece alcune fotografie che continuano a circolare sulle varie pubblicazioni, segno che il dipinto era ben conosciuto e apprezzato. Temo che il mistero non sia destinato a chiarirsi almeno per il momento..(al solit profesur).