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i Miei Primi Compagni

di giorgio vecchi


Durante i primi anni che trascorsi al vecchio Roma dopo la fine della guerra ebbi una sola compagna di giochi, Rosanna, la figlia dei Civardi che abitavano al terzo piano dello stesso stabile che ospitava il vecchio Albergo Roma. Non particolarmente bella, aveva però lineamenti fini e delicati, capelli corti castani fermati sulla fronte da una piccola molletta e un’aria sbarazzina di chi sa cosa vuole. Credo fosse maggiore di me di uno o due anni e dapprincipio mi fece un po’ da mammina. Anche in seguito per molto tempo ancora fu la mia migliore amica ed insieme inventammo ogni sorta di giochi. Di solito era lei a dirigere le operazioni. Io mi adeguai rapidamente non essendo per natura intraprendente. Tra i miei primi ricordi ho questo: per Santa Lucia mi avevano regalato, con mia grande soddisfazione, dei “pentolini”, una intera batteria da cucina in miniatura con tanto di stufa che avevo ammirato in una vetrina di giocattoli. Forse i miei, comprandomeli, speravano che mi si risvegliasse l’appetito perennemente assente o che mi nascesse interesse per la cucina, la gran passione di famiglia. Insieme a Rosanna riuscimmo a cuocerci sulla stufetta una minestrina fatta con il dado che poi addirittura volemmo assaggiare (devo dire che non era peggiore di quella che cucinavano al San Girolamo, il primo asilo a cui mi mandarono).


A Piacenza è tradizione regalare giocattoli ed altri oggetti ai piccoli nel giorno di Santa Lucia; nella stragrande maggioranza delle località italiane tale evento si verifica con l’arrivo del Natale, anzi allora si parlava di Bambin Gesù che portava i doni o della pittoresca Befana. Oggi la figura di riferimento è il nordico e più pagano Babbo Natale. A causa del dilagante consumismo, per cui si suol dire che "ogni giorno è Natale", si è alquanto attenuata nei bambini d’oggi l’emozione che allora ci prendeva con l’approssimarsi della festività. Credevamo ingenuamente che davvero fosse la santa, spesso ritratta con gli occhi sul piatto, a regalarci tutte le belle cose che ricevevamo. Genitori e parenti attendevano che i piccoli fossero addormentati per sistemare ai piedi del letto i preziosi doni. Io però mi accorsi presto dell’inganno e fu una scoperta per certi versi dolorosa. Una notte dei primi anni ’50 udii nel dormiveglia dei rumori ed aprii gli occhi, la camera era illuminata e scorsi i miei genitori e mia nonna materna, quell’anno eccezionalmente nostra ospite per il periodo natalizio, che sistemavano pacchi e pacchetti sul tavolo della nostra camera. Feci però finta di dormire e poco dopo mi riaddormentai per davvero. Al mattino seguente continuai la commedia come se nulla fosse accaduto. Temevo infatti che se avessi ammesso di aver scoperto il trucco non avrei più ricevuto alcun regalo. Ma fu l’inizio della perdita dell’innocenza, un’ulteriore scoperta che contribuì a minare le fragili fondamenta di quel mondo felice e favoloso che avevo vissuto fino a quel momento facendomi riflettere su come la vita era diversa e meno attraente di come ce la dipingevano i nostri genitori. Quando confidai a Rosanna quanto avevo scoperto lei mi rise in faccia dicendo che già lo sapeva da un bel po’ di tempo.

Un altro regalo che ricevetti più tardi fu il teatrino con le marionette che mi permise di sbizzarrirmi nel creare ingenue commediole che poi Rosanna ed io rappresentavamo davanti a genitori e amici. Rammento che una sera facemmo le cose in grande ricavando una specie di teatrino nell’ultimo box del cortile con due dozzine di sedie che fungevano da platea. L’ingresso era a pagamento a una cifra simbolica e ne demmo grande annuncio a tutta la compagnia del Roma. La rappresentazione iniziò bene, tutto sembrava funzionare a meraviglia, il pubblico -tra cui ricordo spiccavano lo "zio Ferrari", Gion, Turinu Guastoni e Mario Galli, l’ex pugile anch’egli assiduo frequentatore dell’hotel- era numeroso. Rosanna mi assecondava nei ruoli femminili. Noi stando dietro le quinte a maneggiare le marionette non potevamo vedere quel che accadeva in platea per cui grande fu la delusione e la rabbia quando Rosanna sbirciando in sala mi disse che il distinto pubblico si era silenziosamente eclissato e noi stavamo facendo la rappresentazione soltanto per noi stessi. Fu proprio da allora che a Rosanna, i pëssgatt affibbiarono il nomignolo di Desolata, avendola sentita pronunciare a un certo punto la battuta “Oh, come sono desolata!”

Un’estate vennero a darci manforte con il teatro anche i cugini Grassi calati da Pisa a Piacenza per una breve visita. Rammento che anche quella rappresentazione finì anzitempo e ingloriosamente a causa del disinteresse mostrato dalla clientela per le nostre fatiche drammatiche. Io ero furibondo e mi convinsi -come dissi apertamente ai compagni della nostra improvvisata filodrammatica- che "gentaglia simile" non meritava affatto i nostri eroici sforzi teatrali.

Ogni tanto Rosanna ed io come le coppie grandi facevamo delle furibonde litigate, per motivi assai futili ma che a noi piccoli parevano seri e importanti. Ad esempio lei si arrabbiava perché nell’interpretare a nostro modo le fiabe della Disney io pretendevo si desse più spazio alla parte della strega anziché a quella di Biancaneve non capendo che la perfida Grimilde mi attraeva assai più della candida principessa. Spesso quando si irritava con me Rosanna sapeva ferirmi chiamandomi spaventapasseri, stecchino, mortinpé, espressioni tutte che avevano a che fare con la mia magrezza, al che mi ribellavo e cercavo di acchiapparla per darle qualche sberla o strapparle i capelli. Per qualche giorno ci tenevamo il broncio o addirittura ci insultavamo a distanza poi finivamo sempre per fare pace. Altre volte ci coalizzavamo contro Gion, il fratellastro di Rosanna, a cui rivolgevamo epiteti ingiuriosi come quatr’occ poiché era affetto da una forte miopia e portava lenti di notevole spessore, o spüsslon, sia perché gli puzzavano i piedi sia perché, vivendo solo, spesso la sua biancheria lasciava alquanto desiderare in fatto di pulizia. In quei casi era meglio restare a distanza di sicurezza poiché Eugenio aveva manacce pesanti e se ti acchiappava ti lasciava il segno delle cinque dita sulle cosce come sperimentai in qualche occasione.

Rosanna aveva un notevole spirito imprenditoriale che ci permise di diventare, in particolari occasioni, piccoli rivenditori di saponi, profumi e altri articoli da toeletta che allestivamo su un piccolo banchetto sistemato in fondo al cortile del Roma. Succedeva che al termine delle gare di ciclismo dilettante organizzate dalla S.C. Robur (che aveva sede nell'hotel) spesso il cortile si riempiva di giovanissimi allievi. Stavano tutti aggrappati alle loro biciclette, ansanti, sudati e desiderosi di rinfrescarsi nei vicini bagni. Noi offrivamo loro a modico prezzo saponette, lozioni, profumi, prodotti indispensabili in quel momento; fu un successo, facemmo affari d’oro


piazzale del mercato con edicola di guerrino golzi

Il mio sodalizio con Rosanna continuò anche quando altri piccoli amici apparvero all’orizzonte. Qualcuno forse ancora ricorderà che prima della demolizione del mercato ortofrutticolo per far posto al Palazzo della Borsa attuale c’era davanti al Roma un piccolo piazzale ove sostavano le auto e proprio lì si trovava un’artistica edicola di ghisa in puro stile Liberty condotta da Guerrino Golzi e dalla moglie Maria, un’edicola che più tardi fu sostituita da un’altra più moderna. Fu proprio lì che appresi, dalle locandine che Guerrino esponeva davanti all’edicola, della tragedia di Superga che distrusse la squadra del grande Torino.

I Golzi, appartenenti alla nota famiglia che gestiva altre edicole, avevano due figli: Umbertino, un ragazzone allora un po’ in sovrappeso di qualche anno maggiore di me, e Lucia, quasi coetanea mia. I due fratelli al ritorno dall’asilo, per accordo tra mio padre e l’amico Guerrino, finirono per dividere la tavola con me all’ora di pranzo. Ci sistemavamo tutti e tre nel primo tavolo della sala dei pëssgatt e consumavamo lì i nostri pasti serviti quasi sempre da mia madre. Umbertino aveva un sano appetito e divorava tutto, Lucia aveva due sole preferenze, la pastasciutta al pomodoro e la cotoletta alla milanese che spesso mia mamma le tagliava a pezzetti e che finii per apprezzare anch’io seppur moderatamente. Lucia divenne un’abituale presenza nel cortile del Roma ed entrò a far parte del nostro piccolo gruppo che poco dopo si infoltì con l’arrivo di due nuove reclute, i fratelli Marisa e Mario Delfanti. I due abitavano in piazza Cavalli ove il padre Carlo gestiva il Caffè Commercio più o meno dove oggi c’è un’agenzia viaggi. Erano inoltre cugini di Guido Bersani, il tabaccaio che aveva bottega a lato del grande portone che dava accesso al cortile dell'hotel, e andando a trovare lui finirono per diventare miei amici. Ricordo che avevano due piccole bici argentee a scatto fisso con cui solevano fare la loro apparizione in cortile. Dei due era Marisa la più vivace e intraprendente, mentre il fratello minore Mario, coetaneo di Lucia, era più calmo e posato. Mario scomparve presto e tragicamente un’estate dei primi anni cinquanta. Un giorno andando ad acquistare delle sigarette da Guido per conto del dottor Bertoli, direttore del Credito Italiano di largo Battisti e nostro affezionato cliente, seppi che di Mario si erano perse le tracce. Si era recato quella mattina con un parente all’isolotto Maggi e poco dopo era scomparso tra la folla dei bagnanti. Nessuno si era accorto di nulla, lo stavano cercando affannosamente dappertutto ma senza esito. Cercai di rincuorare Guido dicendogli che forse era tornato a riva con qualcun altro e che presto sarebbe riapparso. Ma non fu purtroppo così. Qualche giorno dopo ritrovarono il suo cadavere a molti chilometri di distanza. Il Po aveva fatto un’altra vittima. Provai grande dolore per la morte dell’amico e per un po’ non vedemmo neppure Marisa, chiusa nel suo lutto. Ma eravamo fanciulli e la morte, anche se ci toccava da vicino, lasciava deboli tracce.

Marisa più tardi andò pure lei alla Bocconi laureandosi in lingue come me. Poi la persi di vista. Molti anni dopo un giorno che parcheggiavo l’auto nel cortile della facoltà a Pavia, Carlo Bernini, un collega che insegnava Economia Agraria, vedendo che la mia macchina aveva la targa di Piacenza mi disse che sua moglie era mia concittadina. “Dimmi come si chiama, magari la conosco”, gli risposi tanto per dire qualcosa. Con grande sorpresa seppi che si trattava proprio di Marisa la mia antica compagna di giochi nonché, per qualche tempo, mia compagna di banco all’asilo Santa Eufemia.

Poco dopo un altro amico venne, almeno saltuariamente, a far parte della nostra piccola brigata. Si chiamava Andrea e credo fosse parente del gestore della trattoria a lato del Mercato coperto che chiamavano Da Geremia. Andrea che aveva pressappoco l’età della Lucia era un bel ragazzo alto e biondo di buon carattere e indole. I clienti dell’albergo, e segnatamente Gion, lo chiamavano Andrea figliuol prodigio ma non chiedetemi perché; spesso questi soprannomi nascevano dal nulla, o erano presi da qualche pellicola cinematografica, fatto sta che subito prendevano piede e si diffondevano con la velocità della luce nel piccolo microcosmo degli habitué del Roma. Anch’io ne ebbi uno, affibbiatomi da mio padre, che un bel giorno cominciò a chiamarmi Patané. Era questo il cognome di un direttore d’orchestra, Franco Patané, piuttosto noto allora, che venne a dirigere un allestimento operistico al Municipale. A mio padre piacque il cognome del musicista e lo trasformò in nomignolo: per un certo tempo continuò a chiamarmi Patané sebbene la cosa restasse confinata all’ambito strettamente famigliare.

La memoria, che funziona spesso come un’ efficace cassa di risonanza, mi porta a ricordare un altro fanciullo che ebbi per qualche tempo compagno di monellerie nonché direttore d’orchestra in erba. Ho purtroppo scordato il suo nome ma so che era figlio del tenore lirico Vasco Campagnano che alla fine degli anni ’40 cantò a Piacenza con Virginia Zeani nella Bohème al Municipale. Non so se i miei ricordi del figlio si riferiscano a quell’evento o a una successiva presenza in città di quel tenore che godeva all’epoca di una buona reputazione. Ho di questo bambino un ricordo ancora vivissimo: si era d’inverno ed io mi trovavo a letto con la solita tonsillite, il giovane Campagnano si installò in camera mia e diresse davanti ai miei occhi buona parte della Turandot, opera pucciniana i cui dischi facevamo suonare sul nuovissimo radiogrammofono Philips comprato dall' “inventore" Legati. Il mio amico, che forse il padre si era portato appresso con la famiglia, aveva la musica nel sangue e seppe divertirmi da morire nella sua imitazione di un virtuoso della bacchetta. Spesso ricordo che soleva esclamare a proposito di suo padre “Quel cane di un Vasco!,” Non credo volesse con ciò riferirsi alle doti canore del padre che adorava, probabilmente lo diceva per fare lo spiritoso.


Nel gruppo dei piccoli amici che avevo a quell’epoca devo includere due fratelli che la madre, piacentina sposata a un farmacista di Viterbo, aveva deciso di far studiare a Piacenza.. Quella buona signora rimase un’estate al Roma coi due figli: mi sembra fosse separata o sul punto di separarsi dal marito e per ragioni che ignoro non poteva rimanere in città. Decise dunque di sistemare il figlio maggiore Giuseppe, allora detto Ninni, nel collegio San Vincenzo e la figlia Carla alle Orsoline. Con poche conoscenze nella sua città, che aveva lasciato da tempo, si appellò dunque all’unica persona che le dava fiducia, a mio padre, chiedendogli di dare ogni tanto un’occhiata ai suoi figlioli. In effetti la cosa si rivelò più laboriosa del previsto poiché Ninni era un ragazzo alquanto turbolento e dal rendimento scolastico difficile, che scappò più volte dal collegio rifugiandosi al Roma e mio padre, nella scomoda veste di tutore, dovette ogni volta riaccompagnarlo in collegio dopo avergli fatto qualche blanda paternale. Carla, con la quale mi trovavo più a mio agio, era mia coetanea. Molto tranquilla e studiosa quanto il fratello era casinista e ribelle, con lei non ci furono problemi di sorta. Ninni, che nel frattempo si faceva chiamare Jack, continuò ad essere un ragazzo difficile, un disadattato. Era più grande di me e con lui non ebbi mai molto feeling; oggi ritengo mi sfottesse, come allora sovente accadeva, senza cattiveria probabilmente per gelosia vedendo quanto ero coccolato nell’ambiente dell’albergo. Jack fece parlare di sé anche al Romagnosi ove finii anch’io anni dopo. Ancora si ricordavano le sue gesta che avevano creato grave disagio al mite professor Zalbo, l’insegnante di Lettere. Lo rividi molto più tardi fugacemente al Bocciodromo sotto il Facsal, ove faceva l’aiutante tuttofare presso i miei amici Caldani, gestori del locale. So che in seguito si sposò ma morì prematuramente. Carla divenne una stimata insegnante di matematica. Chiuderò questa breve rassegna dei miei amici d’allora includendo anche Ivan, un ragazzo che rimase alcuni mesi presso parenti in via Cittadella. Fu per breve tempo un mio grande amico e a lui ho dedicato il racconto della “Palla di neve".

Rosanna e Lucia continuarono ad essere le compagne che vedevo più di frequente, spesso litigavamo poiché Rosanna era più grande e voleva essere la leader del nostro gruppo. Lucia ed io eravamo disponibili ad assecondarla fino ad un certo punto, superato il quale ci ribellavamo. Dopo i primi anni alle elementari il nostro piccolo sodalizio pian piano si dissolse. Lucia venne ancora per qualche tempo a mangiare in albergo ma andava a scuola in un altro istituto e nel pomeriggio non si fermava più a giocare con noi. Le era morto, ancor giovane, il padre Guerrino e la signora Maria gestiva l’edicola sul lato di accesso alla galleria Borsa da via Cittadella. Andarono ad abitare in un appartamento sopra il Bar Americano. Umberto più tardi si sposò e divenne rappresentante di orologi di gran marca. Prima di andare in pensione lavorò per qualche anno presso l’orologeria il Veneziano ove spesso lo andavo a trovare. Oggi mi avviene di incontrarlo talvolta quando torno in città. Ricordiamo insieme i vecchi tempi e qualche gustoso episodio avvenuto tra le mura del Roma. Lucia si sposò presto ma ebbe un destino avversò e uno di quei brutti mali se la portò via ancora giovane. Quanto a Rosanna, dopo la chiusura del Roma la persi di vista; ci vedemmo ancora qualche volta ma sempre per caso. Spero di incontrare la "Desolata" un giorno per ricordare insieme a lei quegli anni beati che ci videro fanciulli e complici in tante innocenti marachelle.Al solit profesur..