penna

mio Padre Paraninfo

di giorgio vecchi

L'umanità di mio padre era ben nota e apprezzata tra i pëssgatt del vecchio Roma. Tra i tanti episodi che lo videro protagonista voglio raccontarne uno assai curioso che lo vide nell'insolito ruolo di paraninfo. Dopo l'occupazione tedesca, l'albergo alla fine della guerra venne occupato dalle truppe inglesi e successivamente da quelle americane. Molti soldati yankee erano di origine italiana e balbettavano qualche parola della lingua dei padri o dei nonni. Con quei giovanottoni allegri e ciarlieri venne anche l'abbondanza poiché gli americani erano generosi con le vettovaglie in loro dotazione. Nelle grosse latte verdastre che distribuivano in albergo c'era un pò di tutto: latte, uova in polvere, legumi, marmellate, cioccolata, che dovettero sembrare doni del cielo dopo i duri anni di penuria e di razionamento. Mesi dopo la partenza degli americani consumavamo ancora i resti di quelle buone cose che non parevano deteriorarsi mai. Ho conservato in particolare di quegli anni, come una sorta di reminiscenza proustiana, il sapore di una certa deliziosa marmellata di pesche che spalmavo a colazione sui biscotti secchi.

Tra quei giovani militari ce n'era uno particolarmente simpatico e servizievole le cui origini erano se non erro abruzzesi. Si chiamava Peter, e ci accompagnò con un altro collega a Montù in un mitico viaggio di cui mi sono rimaste alcune piccole foto che mi mostrano, bimbetto, al volante di una Jeep parcheggiata davanti ai filari della vigna di mio nonno.


io al volante con accanto la giovane Pina

Era forse la prima volta dopo la guerra che mio padre si recava a Montù per riabbracciare il padre e la matrigna, evento che fu certo emozionante per tutti. Di quel viaggio avventuroso compiuto sul rustico mezzo dell'esercito americano si riparlò molte altre volte negli anni seguenti. E fu reso possibile grazie a quel giovane che aveva compreso il forte desiderio di papà di rivedere i suoi e lo aveva esaudito senza esitare. Era un brav'uomo Peter e di lui i miei serbarono sempre un grato ricordo. Lui aveva in quei mesi una storia romantica con una piacentina di nome Pina, lei pure presente in una delle vecchie foto scattate a Montù quel giorno. Pina era giovanissima ma intraprendente, senza dubbio apparteneva alla schiera di quelle ragazze un pò ribelli che fraternizzarono spensieratamente con i biondi giovanotti americani i quali oltre al fascino della divisa, potevano disporre di tante buone cose di cui si sentiva un'estrema necessità. In quel famoso giorno d'agosto Pina, la cui famiglia mio padre ben conosceva, fu arruolata per affiancare Peter e noi nel viaggio montuese. Poco dopo il reparto di Peter fece ritorno negli Stati Uniti e del giovane non si seppe più nulla. Anche Pina sembrò mettersi il cuore in pace, erano i tempi avventurosi del dopoguerra e i legami sentimentali, nati dall'impulso giovanile del momento, non potevano che essere precari ed effimeri.

Una quindicina d'anni dopo quando mio padre era già alla guida del Grande Albergo Roma capitò un giorno d'estate a Piacenza, proprio quell'antico soldato, Peter C. Fattosi riconoscere e abbracciato con emozione mio padre gli raccontò parte della sua vita: rimasto vedovo da qualche anno, senza figli, aveva ricominciato a pensare a quellantico amore italiano e d'impulso aveva deciso di tornare in Italia per sapere qualcosa della Pina. Mio padre sapeva che costei, poco più che trentenne, era rimasta nubile, si era trovata un piccolo impiego in qualche ufficio della città e viveva con la madre vedova una vita tranquilla ma anonima. Mi par di ricordare che avesse da anni un blando legame sentimentale con un eterno fidanzato che non si decideva a sposarla. Tuttavia papà preferì non dir nulla sul momento a Peter data la delicatezza della cosa. Contattò telefonicamente la ragazza e le disse che il suo giovane innamorato di un tempo era tornato in Italia e la cercava. Decidesse lei quel che voleva fare ma, aggiunse papà, il destino a volte va assecondato, forse era arrivata per lei l'occasione importante della vita e non doveva lasciarsela sfuggire. Pina era giustamente emozionata ma anche diffidente, temendo di andare incontro a una nuova delusione. Tuttavia alla fine seguì il consiglio di mio padre che considerava quasi una sorta di patrigno pregandolo di fissarle un incontro con il suo antico boy friend. A posteriori sapemmo che questo fu molto tenero e romantico. Peter rimase diverse settimane in Italia, alloggiando al Roma e quasi ogni giorno s'incontrò con la sua antica innamorata.


Qualche tempo dopo Pina si rivolse di nuovo a mio padre chiedendogli un consiglio: Peter voleva sposarla e portarla in America, era in grado di assicurarle una certa agiatezza ma lei aveva paura di fare quel passo, non volendo lasciar sola la madre. Papà dopo aver indagato sui reali sentimenti della ancor giovane donna le consigliò di accettare la proposta, tenendo anche conto del fatto che Peter si era detto più che disponibile affinché la madre di Pina potesse di tanto in tanto raggiungere la figlia a Port Jefferson, la località dove lui abitava. E fu così che la Pina convolò a nozze con l'italoamericano e, mi verrebbe da dire utilizzando la formuletta delle fiabe, ”vissero felici e contenti". Il loro matrimonio fu presto allietato dalla nascita di due bei rampolli.


La coppia venne poi numerose volte in Italia e ogni volta non mancò di fare una capatina al Roma per visitare mio padre che, a torto o a ragione, i due ritenevano avesse giocato un ruolo importante nella loro love story. Per molti anni in occasione delle festività natalizie ricevemmo puntualmente, insieme al tradizionale cartoncino dei best wishes, una foto di Pina e Pietro C. con la loro giovane prole. (Al solit profesur).