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Quando i Muri Parlavano


a cura del Grac Piacenza

Durante il ventennio fascista i muri delle case posti in posizione strategica, all’ingresso dei centri abitati o lungo le vie di scorrimento, venivano usati come lavagne per diffondere il verbo del Duce. Si trattò di una propaganda capillare, martellante e diffusa in ogni borgo abitato. Erano scritte a caratteri cubitali e quindi leggibili anche da lontano, per lo più nere su fondo bianco, per meglio essere notate. Fu un sistema efficace per i tempi e adatto a una popolazione dove la radio non aveva ancora una grande diffusione. Dopo la presa del potere dalla fine degli anni ’20 e per tutti gli anni ’30 il Duce affidò la propaganda del regime dapprima a Costanzo Ciano poi al figlio, e suo genero, Galeazzo sotto la cui guida il ministero della stampa e della propaganda divenne Ministero della Cultura Popolare più noto con la sigla Min.Cul.Pop. Questo ministero estrapolava dai discorsi o da scritti di Mussolini le frasi che dovevano servire allo scopo e le inviava ai Prefetti di ogni città che, in accordo con le autorità comunali, sceglievano le ubicazioni e gli spazi dove dovevano essere allocate.


palazzo gotico con scritta sulla facciata - archivio fotocroce

Mussolini prima di darsi alla politica era giornalista e credeva molto nel potere della carta stampata a differenza di quel genio del male del ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels che per primo capì l’importanza del mezzo radiofonico e lo sfruttò appieno dando vita a una costruzione del consenso a tutt’oggi mai uguagliata. Da noi la radio fu usata principalmente per galvanizzare il popolo, suscitare entusiasmo intorno alle guerre coloniali e per esaltare il mito del Duce. Gli speakers avevano un piglio retorico parlavano solo di successi e di vittorie per diffondere ottimismo e tener salda la fede nel regime. Ogni trasmissione era rigidamente controllata da una fascistissima commissione d’ascolto. Col tempo per fare il direttore di giornale bisognava essere di fede fascista o perlomeno adeguarsi. Non erano ammesse eccezioni. Scritte e trasmissioni che sembra impossibile potessero far breccia tanto erano assurde e poco credibili, ma non dobbiamo dimenticare il clima di allora, le piazze con adunate oceaniche per i discorsi dal balcone. Un regime crudele e straccione con delirio di onnipotenza, parole roboanti, ma con dietro il nulla. Otto milioni di baionette vantate come armi terribili e in parte innestate su fucili della prima guerra mondiale modello 1891. Un esercito mal comandato, mal vestito e mal nutrito, senza mezzi e armamenti all’altezza e impreparato a tutto. Fascismo e monarchia a forza di slogan avrebbero voluto fare di un popolo sostanzialmente pacifico e desideroso solo di mettere assieme il pranzo con la cena, una stirpe di guerrieri nel solco delle gesta dei legionari Romani.

manifesti che rappresentavano un percorso ideale per la gioventù fascista


Credere e arruolarsi (notare il popolo ben vestito che accorre); Obbedire, i soldati che escono dalla caserma. L’ufficiale con binocolo e stivali, gli altri tutti alti con belle uniformi ma ancora con le fasce alle gambe residue dell’esercito 15/18; Combattere: fanteria all’assalto protetta da un carro, altri al pezzo e in trincea, senza fango, nessun caduto.

Le scritte erano supportate dai trionfali cinegiornali Luce che magnificavano le battaglie sulle Ambe della guerra in Eritrea anche quando non si riusciva ad avere la meglio sulle truppe cammellate del Negus. La disfatta e la tragedia dell’Armir nell’infinito territorio della Russia negata o tutt’al più gabellata per ripiegamento tattico. A rileggerle non viene da ridere bensì da piangere pensando all’immane catastrofe in cui precipitò il nostro Paese anche grazie a questa propaganda che aveva convinto la maggioranza degli italiani di essere invincibili.

Molte sono le scritte sopravvissute al regime, i muri continuarono a parlare per decenni, ovviamente furono cancellate quelle che erano sugli edifici pubblici, mentre per quelli privati l’onere era lasciato ai singoli proprietari che vi provvedevano senza fretta in occasione di restauri. Questo ha fatto si che perfino al giorno d’oggi, dopo quasi un secolo, alcune siano ancora leggibili. Sarebbe sbagliato ritenerla una propaganda marginale, al contrario quel genere di messaggi arrivavano diretti a un popolo di pedoni e di ciclisti che, tutto sommato avevano bisogno di essere tranquillizzati e illusi.


Sembra impossibile ma è credendo e cullandoci in questo genere di retorica che siamo precipitati nella più grande catastrofe della nostra storia. Un’entrata in guerra frettolosa per correre sul carro dei tedeschi che parevano invincibili, il Duce, senza nessuna remora, dichiarava di aver bisogno di qualche migliaio di morti per potersi sedere al tavolo della pace. Ne ebbe a dismisura, lui compreso, con in più bombardamenti sulle città, che portarono macerie e lutti anche fra i civili. Nonostante questa terribile esperienza a distanza di 70 anni il ventre che ha generato quei mostri è ancora fecondo. Abbiamo perfino parlamentari col busto di Mussolini sulla credenza e ogni tanto si sentono discorsi su quanto di buono il regime aveva fatto e dei treni che arrivavano in orario. Oppure l’invocazione “Ci vorrebbe ancora il Duce!” Anche oggi quindi, nonostante tutto, c’è nostalgia dell’uomo forte ma, per fortuna, come antidoto, si può votare. Chi ha rinunciato a farlo ha fatto una scelta sbagliata, non illudiamoci di essere ormai vaccinati contro questo genere di derive. I segnali che arrivano dall’America non sono incoraggianti. Non stanchiamoci della democrazia. Quelle scritte hanno il potere di ricordarci un periodo della nostra storia di cui non possiamo essere fieri e, al tempo stesso, la forza di un ammonimento utile per non ricadere negli stessi errori.


Scritte e simboli fascisti sui muri a Piacenza e dintorni


Ricordiamo che i proprietari degli immobili dove venivano posizionate le scritte avevano diritto ad un risarcimento proporzionato all’ingombro.



casa della Gil 1938 ora liceo Respighi


centrale alimentazione ex Arsenale Piacenza
consorzio agrario di Fiorenzuola
diga del Molato-simboli del ventennio
simbolo posto sul muro di una casa a Piacenza


Non tutti i detti mussoliniani erano di carattere militante,alcuni esprimevano semplicemente nobili intenti o avvertenze di spiccato buon senso.

Adoriamo il lavoro che dà la bellezza e l'armonia alla vita.
Anche con l'opera quotidiana, minuta ed oscura si fa grande la Patria.
Solo con il lavoro e con la collaborazione fra tutti gli elementi della produzione si aumenterà il benessere individuale.
Il popolo italiano ascolta le parole, ma giudica dai fatti.
A tutto il popolo italiano una casa.
Il lavoro tranquillo, ordinato, intelligente, deve diventare la norma fondamentale di vita di tutti i buoni cittadini italiani.
L'obbiettivo sul terreno economico é la realizzazione di una più alta giustizia sociale per il popolo italiano.
Disciplina, concordia e lavoro per la ricostruzione della Patria.
La disciplina deve cominciare dall'alto se si vuole che sia rispettata in basso.
La bandiera si onora degnamente in un modo solo: compiendo sempre e comunque il proprio dovere.
La più profonda eloquenza è nei fatti.
Eguaglianza verace e profonda di tutti gli individui di fronte al lavoro e di fronte alla nazione​.
Bisogna evitare più che sia possibile la guerra tra le classi, perchè essa nell'interno di una nazione è "distruggere".
Un popolo forte non teme la verità, la esige​.
Solo dall'armonia costituita dai tre principi: capitale, tecnica e lavoro vengono le sorgenti della fortuna.
Distruggere è facile, ma ricostruire è difficile.
Onorate il pane, gloria dei campi, fragranza della terra, festa della vita.

I propositi assennati rimanevano solitamente lettera morta, come nei tempi odierni.(pagina realizzata da Giuseppe Zurla e Pierlino Bergonzi, con la collaborazione di Ugo Pasini, Silvana Caroli, Silvia Parmigiani, Arrigo Francani e Cristiano Maggi).