penna

il Ricordo della Sagra della Nuzialità

con le rime di Egidio Carella, Piacenza 1937

di Stefano Beretta

Il poeta piacentino Egidio Carella (Pianello Val Tidone 29-3-1899/Piacenza 23-10-
1960) nel suo componimento “La Sägra di Spös” scritto per l’occasione della -Sagra
della Nuzialità- tenutasi nella nostra città il 14 novembre 1937, ci racconta con versi
dialettali lo svolgersi dei festeggiamenti e a suo modo fa alcune considerazioni sulle
nuove leggi introdotte dal regime che spiegano il perché si era venuta ad organizzare questa manifestazione di matrimoni di massa.

Tutto iniziò con la tassa sul celibato introdotta nel 1927, il Duce sperava nell’incremento del numero delle nascite tassando gli scapoli e quasi obbligandoli alla formazione di nuovi nuclei famigliari, perché l’aumento della popolazione era basilare secondo il concetto del regime, infatti in un discorso Mussolini disse che una nazione per diventare potente e primeggiare rispetto agli altri stati in forza economica, militare e sociale, doveva avere un popolo numeroso e unito. Carella nella poesia descrive così il pensiero mussoliniano:

“Finalmeint però al Gô veran
un bêl giôran l’ha pinsà:
la famiglia l’è qull peran
‘o reza tutt la sôcietà.
L’è la forza ‘d la Nazion
a l’è l’anma ‘l sintimeint
la prepâra i battaglion
la prepâra i reggimeint..
Aiutando la famiglia
tutt cameina a meraviglia..”



trafiletto della Scure

La tassa sui celibi colpiva gli uomini sani e fertili tra i 25 anni e i 65, la gabella da versare allo stato era più alta per la fascia di età che andava dai 35 ai 50 circa 100 lire annue, i più giovani versavano 70 lire, per i più anziani il balzello corrispondeva a 50 lire, naturalmente da tutto questo erano esclusi i preti perché avevano fatto il voto di castità, i militari con ferme lunghe e speciali e gli stranieri permanenti in Italia ma non ancora naturalizzati. A tal proposito il poeta piacentino con questi versi del componimento, un pò cinicamente scrive di quelli contrari alla paternità:

“Gh’è purtropp ancôra al mond
una razza al digh.. femminea
che la serca da nascond
qull ch’ingrossa un pò la linea
e si pörna appena appena
in van miga a tö ‘d ragazz:
-Tôcca fa una maddalena
( lôr i disan) l’è un strapazz-
E il carëzz e i so basein
i gli a dànn a un cagnôlein”

Il nubilato non era punibile, la donna secondo l’idea del regime era considerata l’angelo del focolare, una sorta di fattrice, una macchina per la procreazione addetta alla crescita dei bimbi e alle realtà domestiche. Infatti Carella ci dice che:

“Ma il noss donn, il donn d’Italia
i gann âtar sintimeint;
ogni spôsa l’è una balia
ogni balia un mônumeint.
I gh’ann zà in dal cör la fiamma
da dvintà una bona mamma.”

Il governo ideò altre iniziative dedicate alle mamme e alla formazione delle nuove famiglie, con leggi dedicate del 1925, del 1933 e 34 e del 1937; nel 1925 creò l’ente assistenziale denominato O.N.M.I. acronimo di opera nazionale maternità infanzia. L’ufficio del O.N.M.I. forniva aiuti alle madri, un consultorio quindi assistenza sanitaria, aiuti economici, gestiva le colonie terapiche per i fanciulli gracili, premiava le famiglie numerose e le agevolava nelle assegnazioni delle case popolari. La vigilia di ogni Natale era contrassegnata come la “giornata della Madre e del Bambino”, a Piacenza questa manifestazione era molto seguita e pubblicizzata dalle principali riviste cittadine quali: La Strenna, La Rivista Piacentina e quella Municipale, venivano pubblicati diversi servizi e immagini delle persone premiate, nell’occasione venivano consegnate somme di denaro e attestati. In città le fotografie di Gianni Croce edite dalla ditta Garioni finirono su una serie di cartoline dedicate, il ricavato della cui vendita finiva nelle casse del ONMI e girato poi ai più bisognosi. In questo passaggio della “Sägra di spös” Carella evidenzia lo sforzo governativo per aiutare le coppie meno abbienti:

“E ian subit decretà:
tutt l’appogg a qui ‘c sa spôsa
tutt l’aiut a qui spôsà;
la Nazion l’è generosa!
Gh’è di spes për mëtt sö cà?
Sum d’accordi, ma ‘c peins me
con l’aiut di celibà..”

I matrimoni anche a quei tempi erano fonte di un esborso economico ingente. Si decise così con parte degli introiti sulla tassa degli scapoli (erano circa tre milioni nel 1933) di organizzare i matrimoni di massa, l’iniziativa si chiamava appunto la Sagra della Nuzialità. In ogni città si faceva a gara a preparare gli sposalizi più fastosi e per più coppie possibili; il ricevimento più famoso neanche a dirlo fù quello di Roma nell’ottobre del 1933 con 820 coppie di sposi benedette da Papa Pio XI nella basilica di Santa Maria degli Angeli e poi premiati dal Duce, con una busta contenente l’esorbitante cifra di 500 lire consegnata ad ogni coppia. Nel 1936 partì da Asti il “treno degli sposi” diretto a Roma per la benedizione papale con a bordo 600 novelli coniugi. Un particolare da ricordare è che durante il rito della nuzialità veniva rilasciata solo una benedizione da parte delle autorità ecclesiastiche e un buon augurio da quelle politiche in quanto ogni coppia coinvolta aiutata economicamente dai rispettivi comuni di residenza già aveva sbrigato precedentemente tutte le formalità e cioè unione religiosa e civile nel proprio paesello. In questo bellissimo paragrafo scritto come se fosse una scena di una sua commedia, Carella scrive di come una figlia espone alla propria madre le motivazioni di come mai dopo tanti anni di fidanzamento Giôvan, al so môrôs, non aveva ancora potuto sposarla:

“La madre: Côs fâl cöint ad da fa là lu?..
Si, Giôvan, al to môrôs !
Vöi savì se viâtar du
prima ‘d mör av vëdrò spôs,
chè son stufa ad vëdëv lè
limônà in sal canapè.
Dee, Nella,
fagghia un pezz la sintinella?
Nella la figlia :
Fiss par lu ‘l ma spôsa incö,
lui non ci ha nessuna brega
crëda mamma, l’è un bràv fiö..
Ma côs vöt? L’è sfôrtunà:
al na g’à mâi un tôllein!
L’è stà un pezz disôccupà..
I parran a stupidaggin
ma se in gh’è mia ad môneda,
ad l’amôr il pö bêll pagin
i ta dveintan frëd cmè preda.”



il corteo degli sposi in via xx settembre

Così avvenne anche a Piacenza, il 14 novembre 1937, alle ore 11 sul sagrato del Duomo, 72 coppie di sposini vennero accolte dal Vescovo Monsignor Menzani e solennemente benedette. Il battaglione nuziale poi si mosse in direzione Piazza Cavalli, accompagnato da canti e da musica che, come riporta la Scure del 16-11-1937, fu suonata la più popolare ed eseguita nel modo migliore che l’orchestra potesse fare; trombe, chitarre, mandolini, violini e fisarmoniche seguivano il corteo. Venne suonata diverse volte quel pezzo che oggi chiameremmo la hit del momento, in quei giorni di tarda vendemmia la canzone era “Paesanella” che appunto veniva intonata anche tra i filari di vite dai vendemmiatori, In Piazza ci fu anche qualcuno che si mise a ballare.

La festa
“Giôrn ad festa, d’allegria
cardì pur a l’è un piaser
vëdëv tutt in cumpagnia
tutt d’accordi a tö môier
con la musica alla testa
tutt in fila e tutt da brazz
viâtr’i miss Piaseinza in festa
tutt i han ditt che bêi ragazz!
Ho sintì ch’i han ditt in Piazza
-A ien tutt ad bona razza-“

Durante il tragitto dai balconi dei vecchi palazzi di via XX Settembre, (dai Pôggiò ‘d Strà Dritta come avrebbe scritto l’altro poeta Faustini) venivano gettati sugli sposi cascate di fiori e di coriandoli, le mogli ricambiavano donando agli spettatori manciate di confetti, la signora Ines Conforti era a braccetto della sorella anziché al suo sposo perché questi era stato richiamato alle armi subito dopo la cerimonia svoltasi giorni prima al loro paese, per questo motivo venne molto festeggiata. Sembrava veramente che la città non finisse più di mandare gente a questa festa. A tal proposito Carella scrisse:

“Meintr’a viâtar gh’i lancià
dill côriandôl acsè gross,
sorrideint, meraviglià
e, ‘s vôrum, un pò cômmoss
s’ì passà in mezz tutt Piaseinza
che guardandva viâtr’incö,
son sicur che le la peinzà:
‘s la va csè me ‘n periss pö.”



matrimoni collettivi di regime per la Sagra Nuziale 1937 foto Manzotti

Il corteo alla fine giunse per l’ammassamento davanti al municipio, gli sposi erano in colonna e come segno beneaugurante ogni marito teneva per mano un Figlio della Lupa e ogni moglie una Piccola Italiana (questi erano i bimbi più giovani che facevano parte dell’organizzazione denominata O.N.B. Opera Nazionale Balilla che raggruppava e insegnava l’ideologia del partito ai ragazzi fino ai 18 anni di età e che a partire dal 1936 i genitori erano obbligati a iscrivervi i propri figli già dal momento della nascita). La musica tacque, il Podestà De Francesco prese la parola porgendo i propri auguri e leggendo il breve telegramma inviato a Mussolini per l’occasione e nel quale si esaltava Piacenza Primogenita, porgevano al Duce il loro solenne saluto e quello di 75 coppie (3 di queste non si erano alla fine presentate) celebranti il rito per la sagra della Nuzialità, giovani e nuove famiglie pronte a donare alla Patria amata, per sempre sua maggiore grandezza e potenza, robusta ed abbondante prole. firmato: prefetto Montani, federale Biaggioni e podestà De Francesco. Quindi il microfono passò al poeta Egidio Carella che in perfetta divisa militare, declamò la sua composizione dialettale titolata “La Sägra di Spös”. Ascoltata in religioso silenzio dalla enorme massa di persone presenti in Piazza e accolta alla fine con calorosi applausi e qualche lacrima scesa agli sposi e allo stesso poeta. Alle 13 Il ricevimento in comune organizzato dal Podestà per un rinfresco e per la consegna dei premi ai novelli coniugi, un pacchetto uguale per tutti confezionato con un nastrino tricolore e contenente un servizio da tavola, altri premi in denaro con buste da 500 a 50 lire vennero sorteggiate, la coppia più fortunata vinse 1000 lire, a quella più giovane (22 anni lui e 16 lei) andò un biglietto da 500, altri premi di vario genere vennero poi messi a disposizione da diversi negozianti. Il finale del poema è un inno all’Impero d’Italia


Egidio Carella recita la composizione poetica

“L’è l’Impero c’umm ciappà
con dal sangô e dal sudôr,
col valôr di noss sôlda
a la bârba ad j’impôstôr.
Viva ‘l Duce che l’Impero
in sêtt mes, l’à pôdì fâl,
in növ mes, ma per davvero,
viâtar donn ì ‘d pôpôlâl.
Sôtta donca con dal cör!
Miga ‘d fiacca e gnan ‘d cöntör.”

Se si prende in esame tutto il ventennio fascista la popolazione aumentò di un numero non altissimo, i dati dell’istituto demografico del periodo non erano altamente affidabili, ma si calcola di un incremento di circa 4 milioni di persone. Per la cronaca la tassa sul celibato non causò l’effetto sperato dal regime, invece di aumentare il numero delle nascite diminuì fino a 20 nati ogni 1000 abitanti contro i quasi 30 ogni 1000 di prima delle leggi sulla famiglia.Fortunatamente i bimbi nati dopo le sagre della nuzialità non andarono ad ingrossare le fila dei reggimenti durante il secondo conflitto mondiale, ma contribuirono invece alla ricostruzione dell’Italia dai danni causati da esso.(testo dalla rivista l’Urtiga per gentile concessione di L.I.R. edizioni).