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Porta ad San Rimond


Come dimenticare quella vecchia “Porta ad San Rimond”! Qualche tempo fa, un giovane conducente di bus cittadini, al quale avevo chiesto un’informazione su una fermata nei pressi di “Barriera” Roma, mi aveva guardato con autentico stupore dicendomi di non sapere dove si trovava quella località. Mi sono corretto precisando “Piazzale Roma” e tutto si è chiarito. Ecco il guaio d’essere vecchio! Ci si riferisce qualche volta a termini in uso tanto tempo fa (ad esempio nella prima metà del secolo scorso) senza pensare che un giovane può non aver mai sentito parlare dell’esistenza di quelle Barriere (autentici, alti, cancelli di ferro, che erano chiusi la notte) che sbarravano l’accesso alla città, quella –naturalmente– contenuta nella cerchia delle mura (oggi si direbbe il “centro storico”), e che servivano, tra l’altro, a far pagare il “dazio” alle merci che arrivavano dal contado. Una delle “Barriere” di cui ho un ricordo più vivo -dato che, pur essendo nato in una casa di Piazza Duomo, ho trascorso, nelle sue adiacenze, la maggior parte degli anni della giovinezza- è quella dell’attuale piazzale Genova. Allora quella “Barriera” o “Porta” era chiamata, “ad San Rimond”, di San Raimondo, dal nome della chiesa omonima situata a poche centinaia di metri di distanza. Appena fuori, al posto della non ancora nata “casa del balilla” (oggi sede del liceo scientifico), c’erano il foro boario (lo spazio riservato al mercato del bestiame) e, in un vecchio capannone, la sede della gloriosa società sportiva “Salus et Virtus”, fucina, tra l’altro, di campioni di pugilato, di ginnastica, di sollevamento pesi
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reparti di cavalleria al foro boario Piacenza 1892

Per noi ragazzi, naturalmente, c’era il Facsàl, teatro dei nostri giochi e delle scorribande più scatenate, non escluse la scalata, dal di fuori, delle mura farnesiane. Un esercizio che avrebbe eseguito anche, a scopo d’allenamento, il compianto amico, alpinista e rocciatore, dott. Guido Pagani. Per la verità, il Facsàl era nostro solo nella prima metà, perchè la seconda parte era generalmente occupata dai ragazzi di Porta Galera (piazzale Roma) capeggiati dal nucleo consistente dei residenti nell’INCIS, le case per i dipendenti statali, costruite non molto tempo prima; così come dalla nostra parte, il gruppo più nutrito era quello degli abitanti nel Palazzo ex Edilizia (che, in un certo periodo, erano arrivati al consistente numero di 30, tra maschi e femmine). Inutile dire che tra le due fazioni non correva buon sangue ed ognuna delle due cercava di rimanere nel proprio territorio perchè, ogni sconfinamento, provocava risse e sassaiole (fortunatamente, per quel che ricordo, quasi sempre incruente). A parte questi episodi, in parte ludici ed in parte quasi bellici, la Porta ad San Rimond si animava in modo particolare nei giorni di mercato, il mercoledì e il sabato. Infatti, proprio da quella Barriera entravano coloro -agricoltori, contadini, commercianti, sensali ecc.- che provenivano, in prevalenza, dalle vallate del Trebbia e del Nure.


porta San Raimondo primo del ‘900

Naturalmente a quell’epoca le automobili erano oggetti non molto diffusi. Cosicché coloro che venivano a Piacenza, se non usavano i pochi mezzi pubblici (per un certo periodo funzionarono ancora i trenini a vapore, poi sostituiti dalle corriere), si servivano del cavallo di San Francesco (specialmente le “razdure” delle cascine circostanti, che spesso portavano uova o pollame da vendere), della bicicletta (ed erano la maggior parte) o dei “birocc’” (calessino a due ruote tirato da un cavallo), un veicolo perlopiù utilizzato da agricoltori e commercianti. Poco dopo l’ingresso in città s’incontravano due negozi di biciclette: quello di Rivaroli (all’angolo di vicolo Edilizia, tuttora esistente) e quello di Azzali (nel palazzo ex Edilizia). Fiorentino Azzali era fratello del titolare del Bar Americano (all’angolo del Pubblico Passeggio), anche questo, per tanti anni, un locale storico della zona. I proprietari dei due negozi di velocipedi –che vendevano, tra l’altro, bici di gran marca, come, ad esempio, la Maino del mitico Learco Guerra– effettuavano anche servizio di riparazione e di deposito dei veicoli a due ruote. Da loro lasciavano in custodia le biciclette (spesso rugginosi catenacci o in ogni caso pezzi quasi da museo) i “foresti”, che pagavano il servizio con la modica somma di cinque centesimi (di lira, naturalmente).

Per i birocc’, appena voltato l’angolo, all’inizio dello Stradone Farnese, c’era lo “stallàzz”, uno stallaggio che custodiva e nutriva i quadrupedi durante l’assenza dei loro proprietari. Il mercato con le bancarelle era, naturalmente, quello attorno al Duomo mentre le trattative commerciali (non esisteva ancora la borsa merci) si svolgevano in piazza Cavalli e nei bar circostanti, utilizzando antichi e caratteristici rituali. A mezzogiorno, conclusi gli affari, chi poteva si recava nella vicina via Cittadella, dove Pasquein serviva la celebre e non mai abbastanza lodata “pìccula ad caval”. (Giacomo Scaramuzza per Banca Flash 2009 n. 1).