Luciano Ricchetti - pittore
Luciano Ricchetti nacque a Piacenza in via Garibaldi il 27 aprile 1897, da Cesare, commerciante con negozio di abbigliamento all’angolo di Largo Battisti, ed Elvira Balduzzi. Nel 1909 iniziò a frequentare saltuariamente l’Istituto d’Arte Gazzola, dove insegnava Francesco Ghittoni, allora supplente di Stefano Bruzzi; fu proprio in quell’anno che venne lodato, dalla stampa locale, per due disegni esposti in una vetrina di un negozio a Piacenza. Lo stesso quotidiano Libertà, tre anni più tardi (il 1 agosto 1912), lo presentò come “una bella speranza dell’arte”; egli aveva solo 15 anni, ma in realtà fu precocissimo, infatti è datato 1910 lo splendido autoritratto della collezione Ceriati di Piacenza. Già a tredici anni Ricchetti rivelò una formidabile grinta e un’insofferenza verso gli insegnamenti del maestro Ghittoni, ancorati alla tradizione accademica. Ghittoni non aveva simpatia per questo borghesuccio indisciplinato figlio di mercanti, che sentiva diverso, di una genialità che lo infastidiva. Per Ghittoni, Ricchetti divenne l’espressione di una “generazione maleducata”, poco rispettosa dei vecchi, e ne nacque una polemica piuttosto violenta sui rapporti arte-educazione. Ricchetti frequentò anche lo studio di Pacifico Sidoli; nel 1913 decorò la sala dei depositanti nella Banca di Sant’Antonino (attuale Palazzo delle Poste) nel gusto divisionista, anche se in realtà non fu mai divisionista.

sintesi storica, affresco nella sala Ricchetti della Banca di Piacenza
Nel 1917 smise di frequentare l’Istituto Gazzola. La guerra del 15-18 gli rubò solo un anno, egli infatti prestò servizio dal 15 novembre 1917 al 4 novembre 1918 prima nel 24° Reggimento Fanteria, poi nel 13° e 21° con sede a Piacenza. Poco dopo la guerra si rivelò un geniale facitore d’immagini, nel volume Il grido dei liberi di Angelo Maria Zecca (1920), pubblicò disegni fortissimi, a livello del meglio in campo internazionale. L’abilità disegnativa lo indusse a lavorare, negli anni Venti e Trenta, come illustratore per le riviste La Lettura, Romanzo mensile, Fantasie d’Italia, Domenica del Corriere, Corriere della sera, Corriere dei piccoli, il falco, Piacenza. Fornì inoltre disegni per le Poesie di Valente Faustini, pubblicate a Piacenza nel 1926. Nel 1920 presentò ottanta opere alla mostra organizzata dall’associazione Amici dell’Arte, non riscuotendo tuttavia consensi di critica. Riscontri positivi che non tardarono ad arrivare l’anno successivo con la partecipazione alla seconda esposizione allestita dal sodalizio piacentino. Tra i soggetti da lui maggiormente indagati vi era la donna, spesso raffigurata senza veli, in pose ambigue e in abiti esotici, in aperta ribellione nei confronti del maestro Ghittoni. Trasferitosi nell’estate del 1922 nel castello di Montechiaro, per dipingervi la Sala degli Stemmi, lavorò alacremente anche alle opere da presentare alla III mostra degli Amici dell’Arte, che si rivelò un’ottima vetrina grazie all’eco della visita di Ugo Ojetti. Ricchetti vi espose paesaggi, dipinti di animali di gusto bruzziano, scene di genere, nudi e ritratti, apprezzati tanto dal mercato quanto dalla critica, grazie a uno stile più coerente e saldo, capace di spaziare attraverso temi e soluzioni formali sempre differenti, ma restando fedele al dato reale. Nel 1923 vinse la borsa di studio Remo Biaggi (6.000 lire annue per tre anni) e andò a Milano per frequentare l’Accademia di Brera, infatuato dalla pittura di movimento, della barocca in particolare ma anche di Ettore Tito, di Joaquín Sorolla, di Ignacio Zuloaga. Frequentò le lezioni di Ambrogio Alciati (che in una lettera datata 1926 lo includeva tra i suoi migliori allievi), vincendo nel 1924 il concorso Bozzi-Caimi per la miglior testa. In quegli anni entrò a contatto con Mario Cavaglieri (più vecchio di lui di dieci anni) che si era stabilito a Piacenza nel maggio-giugno 1921, trascinato dal legame sentimentale con Giulietta Catellini, vedova del Conte Marazzani, e rimastovi fino al 1925 per poi trasferirsi in Francia, a Peyloubère. Ricchetti gli fu amico intimo. Appena uscito dal Brera, nel 1927 dipinse a tempera la volta della Chiesa piacentina della Pace, la prima delle sue numerose imprese decorative su muro. Sono del 1928 i pannelli decorativi eseguiti per lo scalone della Federazione dei Consorzi di via Santa Franca (oggi detto Palazzo ex-Enel), in cui rileva una strabiliante conoscenza del mestiere, nel gusto neobarocco di Tito. Nel 1930 partecipò al XIV Concorso del Premio Artistico Perpetuo di Parma e ottenne una “Menzione Onorevole” con una grande tela dal titolo Gente tranquilla, della quale da notizia anche il quotidiano piacentino La Scure. Nel 1932 Ricchetti partecipò alla fiera-esposizione al Littoriale di Bologna; vinse ex aequo il premio del Rotary Club Italia con il Ritratto del consigliere nazionale Giuseppe Steiner alla Biennale di Venezia; e il Comune di Forli gli acquistò il dipinto Anime serene per la Pinacoteca civica alla Mostra regionale di Forli, organizzata dal Sindacato Fascista Belle Arti Romagna-Emilia. Il 28 luglio 1933 fu nominato Fiduciario Provinciale del Sindacato Belle Arti a Bologna. Probabilmente in questo periodo realizzò la decorazione per la Casa Littoria di Piacenza, scialbata nel 1945 alla caduta del fascismo, ma nota attraverso un paio di fotografie scattate da Manzotti in occasione di una cerimonia. Il 1934 fu anno ricco di soddisfazioni. Ottenne una menzione onorevole per il dipinto Gitana, presentato al premio Artistico perpetuo di Parma; invece alla Prima mostra interprovinciale sindacale emiliana sbaragliò tutti con Modelle a riposo, che ottenne il primo premio e fu acquistato dal Comune di Piacenza per la Galleria Ricci Oddi.

modelle a riposo 1934
Nel 1935 il collegio Alberoni gli richiese la decorazione della Sala del Consiglio nel palazzo cittadino di via X Giugno 3, per la quale si ispirò in chiave neobarocca agli affreschi settecenteschi di Luigi Mussi nello stesso palazzo poco dopo il 1750. Il 23 ottobre 1937, Ricci Oddi morì improvvisamente e Ricchetti fu incaricato dal Consiglio di Amministrazione della Galleria di modellarne il ritratto. La consacrazione nazionale avvenne nel 1939, quando trionfò alla prima edizione del Premio Cremona con il dipinto In ascolto del discorso del Duce, che gli ottenne 40.000 lire e fama istantanea, anche grazie a un articolo elogiativo di Ugo Ojetti sul Corriere della sera del 19 luglio. Il primo premio fu assegnato all’unanimità dai Membri della Giuria, composta da personalità illustri del mondo culturale e politico quali: Roberto Farinacci (Ministro di Stato e Presidente dell’ Ente ordinatore), Dino Alfieri (Ministro per la Cultura Popolare), Ugo Ojetti (Accademico d’Italia), Anselmo Bucci (pittore), Giulio Carne Argan (Critico d’arte), Remo Montanari (Segretario Federale di Cremona), Felice Carena (Accademico d’Italia), Pietro Gaudenzi (Accademico d’Italia), Carlo Prada (pittore), Torquato Bruni e Antonio Sianesi (Presidente del Sindacato Commercianti d’Arte di Milano). Per le sue notevoli dimensioni, l’opera venne realizzata presso la sede già degli Amici dell’Arte, che ospitava l’Istituto fascista di cultura. Destinata al Museo civico di Cremona, fu smembrata nel 1945, ne sopravvivono: il frammento centrale Madre e figlio (donato alla Ricci Oddi da Olivio Teragni nel 1978), Testa del balilla (Piacenza, Banca di Piacenza), Natura morta di frutti e verdure (collezione privata), oltre a un bozzetto (Collezioni Cariparma), e studi e disegni preparatori in collezioni private. Nello stesso anno Ricchetti presentò un dipinto alla Biennale di Venezia; venne nominato rappresentante del sindacato nazionale belle arti nella commissione giudicatrice del concorso per affreschi bandito dal comitato dell’Ottava Settimana Mantovana; progettò una lunetta a ricordo del 23 marzo nella galleria XXIII Marzo di Cremona, realizzata nell’estate del 1940; firmò il bozzetto per un arazzo della misura di metri 3x3 (il bozzetto deve essere di un quarto della grandezza definitiva) destinato alle nuove sale del Senato, del quale venne approntato soltanto il cartone. Nel 1940 realizzò per la seconda edizione del Premio Cremona con un’opera contrassegnata dal motto ”Più profondo è il solco più alto è il destino”, che non vinse, ma fu scelta per l’Esposizione di arte italiana di Hannover dove fu acquistata dal generale Lutze. Il 10 giugno dello stesso anno l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania di Hitler, guerra che bloccò le fortune di Ricchetti, proprio nel mentre era invitato a tutte le manifestazioni artistiche di maggior prestigio. Nel maggio del 1941 mandò alla III Mostra del Sindacato Fascista Belle Arti tre opere: Violoncellista, Abside di S. Francesco a Piacenza e Un particolare del mio studio. Nello stesso anno, il Consorzio Agrario Provinciale di Piacenza gli commissionò “un’aratura” dal titolo Fronte interno 1941 esposta nel dicembre nella sala delle riunioni e pagato lire 4.000. Ma l’avvenimento più importante di quell’anno fu la partecipazione col dipinto La consegna alla terza edizione del Premio Cremona, e la vittoria ex aequo assieme a Gian Giacomo Dal Forno e Cesare Maggi. Il dipinto, che rappresenta un mutilato di guerra che consegna il moschetto al figlio soldato in partenza per il fronte, fu premiato con 30.000 lire e venne acquistato dalla G.I.L. di Milano.
Alla Biennale di Venezia del 1942, nella sezione delle opere ispirate alla guerra, presentò una vasta tela (3x4 metri) dal titolo il ferreo duca rappresentante Amedeo di Savoia duca d’Aosta, realizzata nell’ultimo piano del liceo Gioia di Piacenza prima che il principe morisse a Nairobi prigioniero degli inglesi il 3 marzo 1942, gli valse un premio di 10.000 lire e fu riprodotta in cartoline quale immagine celebrativa di un eroe italiano. Il dipinto, molto curato anche nei particolari, fu lodato da Leonida Repaci e da Giorgio Nicodemi. Nell’aprile del 1943 mandò alla Quadriennale di Roma alcuni dipinti di qualità, tra cui La mia Francesca, illustrata sul quotidiano Il Tevere del 4-5 giugno 1943. Nell’agosto dello stesso anno espose per invito al Secondo Premio Verona, tra i dipinti da ricordare Pasqualina, realizzato a Bettola dove era sfollato da tempo con la famiglia. Nel 1944 fu colpito da un esaurimento nervoso a tal punto che si convinse di aver i giorni contati; unico suo conforto fu il dipingere. In uno di quei giorni di forte sconforto dipinse d’impeto un autoritratto da lasciare ai famigliari come estrema testimonianza d’affetto, è una delle sue opere più intense, più intimamente sofferte. Sempre in quell’anno rimase sfollato a Bettola, prima tornando spesso a Piacenza nello studio di via Sopramuro, poi sempre più di rado, preoccupato dei bombardamenti che stavano colpendo la città. Nel febbraio del 1945, assieme ad altri artisti piacentini, partecipò ad una mostra allestita nei locali della Galleria Ricci Oddi, disallestita per timore dei bombardamenti, esponendo venticinque dipinti (sei di proprietà) in gran parte realizzati in esilio a Bettola. Sono identificabili nel cataloghino, dove compare solo il titolo senza foto né misure: Oca, Fiori di Campo, Piero, Pernici, Pasqualina, Mele, Bettola (una delle tre o quattro versioni di Case a Sacresta di Bettola). La caduta del regime non compromise la sua produttività, e dopo la guerra Ricchetti scoprì la sua vocazione per l’arte sacra. Nel 1947 realizzò una geniale Via Crucis destinata alla Basilica di S. Giovanni in Canale a Piacenza, ma rifiutata perché ritenuta troppo “moderna”. Nel 1948 ricevette una commissione importante dall’Amministrazione dell’Opera Pia Alberoni: la decorazione della cappella nella villa del Collegio Alberoni a Veano (Piacenza). Sempre nello stesso anno, a Torino espose un vigoroso Bue squartato in cui, ispirato da Rembrandt, prese pretesto da un soggetto antigrazioso per fare della buona e robusta pittura. Nel 1950 espose alla Biennale di Venezia una Natura morta con fisarmonica e maschera. Sempre in quegli anni non mancarono le personali e le collettive a Piacenza, Milano, Bologna e Verona. Nel 1952, alla seconda personale allestita presso la galleria Gussoni di Milano, presentò numerosi dipinti di controllata solidità strutturale, armonia tonale più intima e maggior ricerca dell’essenziale. E’ di quell’anno anche il magnifico affresco con la storia di Piacenza, realizzato nella sala del Consiglio, oggi detta Ricchetti, presso la sede centrale della Banca di Piacenza.
Alla Biennale di Venezia del 1942, nella sezione delle opere ispirate alla guerra, presentò una vasta tela (3x4 metri) dal titolo il ferreo duca rappresentante Amedeo di Savoia duca d’Aosta, realizzata nell’ultimo piano del liceo Gioia di Piacenza prima che il principe morisse a Nairobi prigioniero degli inglesi il 3 marzo 1942, gli valse un premio di 10.000 lire e fu riprodotta in cartoline quale immagine celebrativa di un eroe italiano. Il dipinto, molto curato anche nei particolari, fu lodato da Leonida Repaci e da Giorgio Nicodemi. Nell’aprile del 1943 mandò alla Quadriennale di Roma alcuni dipinti di qualità, tra cui La mia Francesca, illustrata sul quotidiano Il Tevere del 4-5 giugno 1943. Nell’agosto dello stesso anno espose per invito al Secondo Premio Verona, tra i dipinti da ricordare Pasqualina, realizzato a Bettola dove era sfollato da tempo con la famiglia. Nel 1944 fu colpito da un esaurimento nervoso a tal punto che si convinse di aver i giorni contati; unico suo conforto fu il dipingere. In uno di quei giorni di forte sconforto dipinse d’impeto un autoritratto da lasciare ai famigliari come estrema testimonianza d’affetto, è una delle sue opere più intense, più intimamente sofferte. Sempre in quell’anno rimase sfollato a Bettola, prima tornando spesso a Piacenza nello studio di via Sopramuro, poi sempre più di rado, preoccupato dei bombardamenti che stavano colpendo la città. Nel febbraio del 1945, assieme ad altri artisti piacentini, partecipò ad una mostra allestita nei locali della Galleria Ricci Oddi, disallestita per timore dei bombardamenti, esponendo venticinque dipinti (sei di proprietà) in gran parte realizzati in esilio a Bettola. Sono identificabili nel cataloghino, dove compare solo il titolo senza foto né misure: Oca, Fiori di Campo, Piero, Pernici, Pasqualina, Mele, Bettola (una delle tre o quattro versioni di Case a Sacresta di Bettola). La caduta del regime non compromise la sua produttività, e dopo la guerra Ricchetti scoprì la sua vocazione per l’arte sacra. Nel 1947 realizzò una geniale Via Crucis destinata alla Basilica di S. Giovanni in Canale a Piacenza, ma rifiutata perché ritenuta troppo “moderna”. Nel 1948 ricevette una commissione importante dall’Amministrazione dell’Opera Pia Alberoni: la decorazione della cappella nella villa del Collegio Alberoni a Veano (Piacenza). Sempre nello stesso anno, a Torino espose un vigoroso Bue squartato in cui, ispirato da Rembrandt, prese pretesto da un soggetto antigrazioso per fare della buona e robusta pittura. Nel 1950 espose alla Biennale di Venezia una Natura morta con fisarmonica e maschera. Sempre in quegli anni non mancarono le personali e le collettive a Piacenza, Milano, Bologna e Verona. Nel 1952, alla seconda personale allestita presso la galleria Gussoni di Milano, presentò numerosi dipinti di controllata solidità strutturale, armonia tonale più intima e maggior ricerca dell’essenziale. E’ di quell’anno anche il magnifico affresco con la storia di Piacenza, realizzato nella sala del Consiglio, oggi detta Ricchetti, presso la sede centrale della Banca di Piacenza.

affresco di Luciano Ricchetti del 1954, in via Beverora
In occasione della Pasqua del 1954 sostituì in via Beverora, il Signur mort affrescato nel 1906 da Pacifico Sidoli, e alla fine d’agosto, a conclusione dell’anno mariano, presentò in una vetrina della Galleria della Borsa il gesso del monumento della Madonna del popolo. Il 17 settembre dello stesso anno “compito in piazza” promosso dagli Amici dell’Arte, un’estemporanea organizzata in piazza Cavalli, lo vide vincitore ex aequo con Giacomo Bertucci (secondi ex aequo Francesco Baini e BOT). Nel dicembre dell’anno successivo, ottenne il più prestigioso riconoscimento in campo locale: la medaglia d’oro di piacentino benemerito assegnata a lui e al baritono Pietro Campolonghi per iniziativa della Famiglia Piâsinteina. In una ventina di anni, dal 1954 al 1972, intervenne, con raffigurazioni più o meno estese, in quasi trenta edifici religiosi tra città e provincia. Durante la sua lunga carriera, alla pittura murale, prevalentemente di carattere sacro e a quella da cavalletto nei generi della natura morta, del paesaggio e del ritratto, affiancò la plastica. Oltre alle opere per il cimitero cittadino, si ricordano, tra gli esiti più significativi a Piacenza: il ritratto postumo di Giuseppe Ricci Oddi per l’omonima galleria.

madonna del popolo 1954
(1937); la testa in bronzo del maestro Amilcare Zanella per il conservatorio Nicolini. (1949); il gruppo a grandezza naturale con monsignor Francesco Torta che stringe a sé un fanciullo sordomuto e una bambina cieca per l’Opera pia della Madonna della Bomba. (1951); la Madonna del Popolo per la base del monumento all’Immacolata in piazza Duomo. (1954); il busto in bronzo di Egidio Carella per i giardini pubblici di fronte alla stazione. (1961); il monumento ai caduti per Bettola, unica sua realizzazione dedicata a questo tema. (1965) Ricchetti si dedicò estemporaneamente anche al restauro: nel 1938 intervenne sugli affreschi quattrocenteschi della cappella del castello di Gossolengo; nell’estate del 1952 gli furono affidati alcuni dipinti di Giovanni Evangelista Draghi del Museo civico di Piacenza. Duratura fu la sua attività didattica: tra il 1934 e il 1935 insegnò arte decorativa murale e plastica presso la regia scuola tecnica industriale S. Coppellotti di Piacenza; dal 1943 al 1947 impartì lezioni di disegno architettonico e ornamentale all’istituto privato Vittorio Alfieri; nel 1949 affiancò Paolo Maserati alla cattedra di plastica presso l’Istituto Gazzola, e in seguito tenne lezioni di figura ai corsi serali. Nel 1967, in occasione del suo settantesimo compleanno, l’associazione Amici dell’Arte allestì un’antologica a cura del professor Ferdinando Arisi. L’ultima personale fu a Bettola nel settembre del 1973 con una dozzina di opere realizzate a Bettola nell’estate, ospite di Don Luigi Bottazzi rettore del Santuario della Madonna della Quercia. Il 16 settembre, in occasione della mostra, Gaetano Metti (Presidente degli Amici dell’Arte) gli consegnò una targa d’argento per ringraziarlo della litografia il Ponte Gobbo a Bobbio realizzata gratuitamente per l’Associazione in occasione del Natale 1972 (unica sua esperienza nella grafica). Fino al settembre 1976 lavorò in studio tutti i giorni. Morì a Piacenza nella sua abitazione in via Gattorno la notte del 30 novembre 1977 ed i funerali si svolsero il 2 dicembre nella chiesa di San Paolo da lui affrescata nel 1963. La salma riposa nel cimitero urbano di Piacenza accanto alla moglie, sulla tomba il volto della moglie da lui modellato e quello di Ricchetti modellato dallo scultore piacentino Paolo Perotti. Nel 1997, per il centenario dalla sua nascita, si tenne a palazzo Gotico un’importante retrospettiva anch’essa affidata al professor Arisi, che ne ripercorse l’intensa e variegata attività. (di Massimo Murelli, Podenzano).

cartolina militare disegnata da Ricchetti