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Piacenza nel Ciclismo che Conta grazie all’Arbos

di Graziano Zilli

Dante Boselli guidò l’ammiraglia dell’Arbos nel mondo del ciclismo italiano, quello che conta. Visse le sfide dei grandi campioni e fu testimone, in prima persona, dei fatti e degli accadimenti dell’epoca.

Chiacchierando con Mario Boselli (figlio di Dante), anche lui uno sportivo e con buoni trascorsi nel mondo del rally. Ci racconta con molto piacere ed entusiasmo del padre quando, tra gli anni quaranta e cinquanta, visse in prima persona l’epopea di una delle più conosciute squadre ciclistiche italiane. L’Arbos, fabbrica produttrice di biciclette, era nata alla fine del secondo conflitto mondiale dall’intuizione del meccanico Silvio Araldi e dell’imprenditore Luigi Boselli, che scelsero il nome utilizzando le iniziali dei loro cognomi. La società nel 1946 si presentò con una propria squadra formata da corridori professionisti, seguendo la strada di alcune marche italiane, tipo Legnano, Benotto, Bianchi, ecc


Nedo Logli vincitore della prima tappa della Arbos

La squadra ciclistica piacentina, con le maglie verde-avorio (in seguito i colori diventeranno il blu e l’arancio), debuttò nel 1947 al grande Giro d’Italia e nel successivo anno ebbe l’opportunità di conquistare il 25 maggio 1948, con il ciclista Logli, il primo successo nella tappa da Bari a Napoli. Alla fine del 1948 l’azienda Arbos venne venduta e acquisita dall’ingegner Luigi Lodigiani, che, oltre a essere proprietario con i fratelli di un’impresa costruttrice di opere edili, era anche titolare della Bubba, un’azienda produttrice di macchine agricole.

Mario Boselli prosegue la storia che conosce attraverso i racconti del padre Dante: Papà era nato a Zena di Carpaneto nel 1918 e, causa la guerra, si ritrovò a prestare servizio militare per ben sette anni. Quando finalmente fu congedato, iniziò lavorando alla RDB per poi essere assunto dalla società Lodigiani come autista personale dell’ingegner Luigi. Quest’ultimo, appassionato di ciclismo, aveva acquisito l’Arbos, che poi avrebbe fuso con la Bubba, e stava riorganizzando anche l’omonima squadra professionistica, affidandosi principalmente a collaboratori piacentini. Riguardando le vecchie foto, ricordo il nome di qualcuno di loro: il direttore sportivo Mario Giumanini, il factotum Marcello Tassi, i meccanici Carlo Albertazzi e Franco Migli.


l’ammiraglia al seguito della squadra ciclistica Arbos Piacenza.
Dante Boselli alla guida, accanto a lui in piedi,
il direttore sportivo Mario Giumanini.

Lodigiani, naturalmente, volle il fidato Dante Boselli al volante dell’ammiraglia: Era una Bianchi color verde e arancio -continua Mario- essendo un’auto priva di copertura dell’abitacolo, gli occupanti erano esposti alle intemperie del clima al pari dei ciclisti in gara. La condusse in sette Giri d’Italia e in tutte le maggiori classiche europee, comprese Milano - Sanremo, Liegi - Bastogne - Liegi, Parigi - Roubaix, ecc. Solo per citare alcune delle più famose. Non parteciparono al Tour de France, perché era riservato solo alle nazionali. Conobbe così tutti i campioni più famosi. Ammirava tantissimo Fausto Coppi, come atleta e come uomo, e ricordava con particolare simpatia anche il fratello Serse, un ragazzo molto alla mano. Il francese Bobet lo impressionò invece per la grande signorilità. Bartali, viceversa, non era tra i suoi preferiti, forse perché troppo ruvido nei rapporti umani. Mio padre lasciò la guida dell’ammiraglia solo quando gli nacque il primogenito, Augusto, nel 1954. Ma tutto restò in famiglia, perché a lui subentrò il fratello Guido, mio zio, per tutti “Renato”.

Intanto, la bacheca della squadra si arricchiva di trofei grazie ai vari Zanazzi, Lambertini, Isotti, Schaer, Volpi, Frosini, Pontisso, Moresco, Assirelli, Monti, Ciancola, Corrieri e tanti altri ancora. Nel 1956, poi, la formazione blu-arancio si presentò con grandi ambizioni al Giro d’Italia, competizione nella quale, fin lì, aveva ottenuto solo successi parziali. L’obiettivo dichiarato era la classifica generale, visto che il suo capitano Pasquale Fornara veniva considerato unanimemente uno dei favoriti. A sole tre giornate dal termine, il piemontese vestiva infatti la maglia rosa, ma nell’ultima frazione dolomitica, la Merano-Monte Bondone, una terribile tormenta di neve si abbatté sulla corsa e stravolse ogni pronostico: il lussemburghese Charly Gaul, partito al mattino in grave ritardo, conquistò così tappa e primato. Dopo 242 chilometri percorsi in condizioni difficili ed estreme, i ritiri non si contarono e anche Fornara, vinto dal freddo e dalla fatica, stremato e a soli 500 metri dall’arrivo crollò.


Coppi si complimenta con la maglia rosa Fornara dell’Arbos durante
il Giro d’Italia 1956, tra loto il direttore sportivo Mario Giumanini

La sera stessa, alla radio, Mario Giumanini, con le lacrime agli occhi, parlò della tappa di una “disumana durezza”; mentre Giulio Cattivelli su Libertà del 9 giugno 1956, in un articolo intitolato polemicamente “Ciclisti o fachiri”, riferì di “un’assurda, bestiale gara di fachirismo dove di spirito sportivo era rimasto ben poco e dove la stessa dignità umana si annullava”. L’episodio, per certi versi drammatico, spinse un Lodigiani deluso e avvilito a lasciare il ciclismo e decretare così il brusco epilogo della gloriosa epopea della squadra che per dieci anni aveva dato prestigio alla nostra città. Non mancarono ripercussioni anche a livello industriale, perché di lì a poco l’Arbos-Bubba abbandonò il ramo produttivo legato alle biciclette, proseguendo l’attività limitatamente alla fabbricazione di trattori e mietitrebbia fino al 1994, quando, dopo varie vicissitudini e cambi di proprietà, chiuse definitivamente i battenti. Nel 2011, in piena globalizzazione, il marchio Arbos è stato rilevato dal gruppo “Lovol Heavy Industry”, costruttore cinese di macchine agricole e per il movimento terra. Ma questa è ancora un’altra storia…


la squadra Arbos che disputò la sua ultima stagione nel 1956