penna

Gianni Croce – Fotografo di ricerca

“Ritratti degli anni Trenta”
mostra da Biffi Arte, via chiapponi 39 Piacenza



Gianni Croce negli anni 60

Il ritratto è per Croce ricerca stilistica, perfezione formale, eleganza di posa. E’ fotografia nella sua più intima specie: luce. A trent’anni dalla sua morte, una mostra che esplora un aspetto inedito di un grande artista, che con il ritratto ha saputo portare il futurismo nella fotografia.

Gianni Croce giunse a Piacenza nel 1921 proveniente da Lodi, dove si era formato presso lo studio di Giuseppe Marchi, esponente della Fotografia Artistica del periodo Liberty, pittore e scenografo. Lo studio fotografico di Croce divenne presto luogo di ritrovo dei giovani artisti insofferenti del clima figurativo di maniera. Attraverso il cognato Giulio Ulisse Arata, architetto e critico d’arte, il fotografo potè inoltre conoscere i programmi dell’arte e della cultura italiana.

I suoi innovativi ritratti femminili richiamarono una clientela esigente ed egli divenne nel giro di pochi anni il ritrattista principe della “buona società” piacentina. Avvicinandosi al futurismo, realizzò, in sodalizio con l’artista Bot, sperimentali “composizioni” fotografiche con oggetti. Aperture alle avanguardie si colgono anche in certe straordinarie vedute architettoniche e nella ritrattistica dei primi anni trenta.

Questa rassegna permette di scoprire come ritratto fosse per Croce stimolante occasione di ricerca e di studio luministico e formale e di verificare con quale perizia e passione, unite a un severo rigore, egli trattasse la luce. Suo scopo precipuo, infatti, era non tanto la resa psicologica quanto la costruzione di un’icona autonoma che si giustificasse per l’applicazione di determinate regole. I ritratti di Croce appaiono agli antipodi rispetto a quelli, leziosi, di noti fotografi italiani dell’élite dell’epoca. L’accentuazione luminosa del volto e delle mani su fondo scuro ci rimanda piuttosto alle immagini di steichen e di altri fotografi di “Vouge” . Quando Croce riprende alcune nobildonne crea un percorso di “preziosità” fra il volto, le mani e i gioielli luminescenti che, grazie all’uso di ottiche flou, si disegnano morbidosamente nell’oscurità.

Nel ritratto dell’architetto Arata emerge la spiccata personalità di un professionista colto e affermato che si distingue per portamento ed eleganza, ma è il nitore sconvolgente del fazzoletto a illuminare da solo l’intera composizione, tanto che la critica ha assimilato questa immagine ai “Drive in” del giapponese Sugimoto. Grazie alla condizione socio-culturale elevati, si manifesta quasi spontaneamente il lato non standardizzato, peculiare, dei soggetti, ma appare sempre prioritaria la ricerca di stilizzazione formale, vera “cifra” del fotografo piacentino. In diversi studi femminili di Croce si riaffaccia il clima di sensualità sublimata di marca simbolista, mentre le luci direzionali morbide che modellano il viso e il collo rimandano ai modi fotografici di Nunes Vais. Appare però innovativa la capacità di ottenere gli stessi effetti indifferentemente con luce naturale o artificiale.

In alcuni ritratti femminili si nota uno stacco fra la regia (posa ed espressione), tutto sommato tradizionale, e l’apparato “scenografico e luminotecnico” che attinge alla fonte del teatro sperimentale antinaturalistico futurista. Prampolini, che manifestò a Croce il proprio apprezzamento, propugnava una scena astratta di piani e volumi accidentali, fatta di luce, spazio e movimento. Anche in questi ritratti è il tipo di luce che metamorfosa gli elementi geometrici e cubitali, in modo che la scena non faccia da sfondo ma esprima in prima persona l’anima del personaggio, secondo il suggerimento che il futurista Fillia aveva inviato al fotografo. Nelle composizioni “marine” con i bambini la luce dall’alto mette in risalto i piani sfuggenti dello “scenario plastico”. Anche le foto con i clown rientrano nel solco del Futurismo, che con Martinetti amava la pantomima, l’esagerazione e le caricature circensi del dolore e della nostalgia. Esse vengono trascritte in termini formalmente raffinati da Croce, che accentua l’ambiguità tragicomica espressiva proiettando un’ombra “drammatica” o “sezionando” il pagliaccio con la scala.
testo di Daniele Panciroli,
studio fotografico Croce di Maurizio Cavalloni, 0523 325201



Gianni Croce, fanciulla degli anni trenta


Gianni Croce, ritratti degli anni trenta in mostra