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quel Giorno che Coppi venne al vecchio Roma


Negli anni cinquanta il ciclismo era il mio sport preferito e sconfinata era l’ammirazione per quell’inimitabile campione che fu Fausto Coppi. Conservo numerose foto di me fanciullo in cui l’immagine del campionissimo appare in evidenza su tavoli e pareti dell’Albergo Roma di Via Cittadella che i miei gestivano a quel tempo.


a pranzo con il personale nella sala B

Per me Fausto era l’eroe buono, fragile in apparenza ma fortissimo interiormente che pedalava con innata eleganza, leggero ed agile come se non sentisse la fatica con gli immancabili occhiali da sole e la maglia biancoceleste della Bianchi. La sua specialità erano le tappe di montagna, lui saliva sornione nel gruppetto di testa ma quando decideva di attaccare scattava in progressione facendo il vuoto dietro di sé. Ma era un corridore completo che sapeva eccellere in tutte le specialità, insuperabile nelle tappe a cronometro e pure ottimo passista.


con i miei a tavola esibendo la foto del campionissimo

A quell’epoca il Giro d’Italia o il Tour de France erano eventi sportivi che tutti seguivamo attraverso la radio che puntualmente ci informava dello svolgersi di ogni tappa. Oggi che la televisione ci permette di vedere in alta definizione ogni particolare di una corsa quei giorni lontani della radiocronaca potrebbero sembrare pallidi e sbiaditi invece la passione con cui seguivamo gli eventi ciclistici era di gran lunga maggiore di oggi proprio perché i mezzi limitati rendevano l’attesa spasmodica lasciando ampio spazio all’immaginazione. Udire chi era passato in vetta sui celebri colli dolomitici o pirenaici, calcolare i distacchi tra i corridori era spesso difficile ma anche questo aveva il suo fascino, tutto era affidato alla maestria dei cronisti che sapevano non solo darci sapientemente il resoconto di quanto accadeva ma erano veramente abili nel farcelo gustare come fossimo lì a vedere la corsa coi nostri occhi. Basti pensare all’emozione che ci invadeva quando sentivamo Mario Ferretti e altri colleghi scandire quelle frasi che poi sono diventate mitiche : “Un uomo solo al comando”, oppure “Vedo in lontananza apparire una maglia biancoceleste”,quei momenti sono incancellabili e nel ricordo sembrano di nuovo rinverdire.

Mio padre era di fede bartaliana poiché negli anni anteriori alla guerra il toscanaccio Bartali aveva mietuto successi su successi prima che apparisse all’orizzonte a insidiarne la fama il campionissimo di Castellania. Nel vecchio Albergo Roma tra i clienti era accesissima la rivalità tra i sostenitori dell’uno e dell’altro campione e ciò dava luogo a discussioni infinite. Papà che capeggiava i devoti di Bartali aveva tentato di farmi fan del suo beniamino ma non riuscì mai a convertirmi come invece seppe fare con la sua squadra del cuore che era la Juventus, io, in origine, ero tifoso del Toro di Valentino Mazzola e tale rimasi fino alla tragedia di Superga. All’indomani di una delle mitiche imprese di Coppi Nando, il nostro capo cameriere, grande estimatore di Fausto, arrivava sorridente in hotel con la rosea Gazzetta o il Tuttosport sotto il braccio; entrava nella sala B, quella riservata ai frequentatori abituali e, aperto con finta noncuranza il giornale, celebrava con vivaci apprezzamenti l’evento facendosi beffe dei bartaliani presenti. Mio padre e i suoi seguaci tentavano di opporsi alla litania di lodi sperticate che Nando sciorinava insinuando commenti malevoli su Coppi vincitore, secondo loro, grazie alla “bomba”, non si parlava ancora di doping, ma inutilmente poiché a dargli manforte intervenivano le schiere dei coppiani con me in testa e loro dovevano ritirarsi scornati.

L’albergo era in quegli anni sede dell’associazione ciclistica Robur, passata da poco al professionismo e i soci tenevano lì simposi e premiazioni. Ricordo come fosse ieri un uggioso pomeriggio d’inverno in cui ero seduto solo al bureau mentre nel salone ristorante era in corso una tavolata di soci e sostenitori del sodalizio. D’un tratto la porta d’ingresso prossima al cortile si aprì e di colpo mi apparve lui, Coppi in carne e ossa. Era solo e vestiva un cappotto grigio sportivo. Dietro di lui comparvero poi altre persone certamente al suo seguito. Io rimasi pietrificato per un istante poi scattai in avanti vincendo la timidezza per andare incontro al grande campione. Lui nel frattempo entrava in sala accolto da una vera ovazione e da un sonoro grido: “Fausto, sei un leone!”. Fu un momento indimenticabile per me come lo fu forse in misura ancor maggiore per Nando, il quale si avvicinò al suo idolo e volle complimentarsi con lui e stringergli la mano. Coppi non si fermò che pochi minuti, era di passaggio e conoscendo i suoi spostamenti qualche dirigente del sodalizio aveva fatto in modo di averlo tra noi sia pur brevemente. Prima di accomiatarsi fece un brindisi con la compagnia e poco dopo ripartì in fretta come era venuto. Ma Nando ora aveva il suo più ambito trofeo, mi si avvicinò tenendo delicatamente in mano un bicchiere usato e dicendomi con commozione: “Ecco, in questo calice ha bevuto Lui.” E non permise che venisse mai lavato. Lo teneva su una mensola dietro al banco del bar e volle applicargli una scritta commemorativa dell’evento. Non fui invece presente anni prima quando anche Bartali passò per il Roma, ma non avrei comunque potuto ricordare l’evento. Dovevo avere poco più di tre anni poiché si era all’indomani della fine della guerra ed io probabilmente ero ancora con mia madre sfollata a Bettola. Pare che Nando, che pure volle stringergli la mano, andasse poi… a lavarsela in tutta fretta o così almeno raccontava lui certo per far dispetto a papà. Così era Nando e così si vivevano al Roma i grandi eventi ciclistici in quegli anni.


Nando in cortile nel 1955 con mia madre, me e Dianina

Dopo la chiusura dell’hotel Nando si trasferì a Londra ove lavorò presso i signori Pini, gli amici italo inglesi di mio padre. Quando qualche anno dopo mi recai nella capitale inglese per un breve soggiorno di studio fui loro ospite. Bruno Pini mi venne a prendere alla stazione Victoria e subito mi condusse nel suo ristorante dove incontrai Nando. Ero affamato e quasi non credetti ai miei occhi quando mi servirono una appetitosa pastasciutta con un delizioso sugo di funghi che Nando aveva raccolto proprio quel mattino negli immensi parchi londinesi. Naturalmente parlammo del nostro indimenticabile Fausto, purtroppo scomparso ancor giovane a causa dell’infezione contratta in uno sfortunato tour africano. Il ciclismo era in declino di popolarità ma Nando non dimenticava le imprese del suo idolo e continuò a celebrarle ancora a lungo.
Ebbi occasione di rivederlo in Italia alcuni anni dopo. Sapevo che era tornato dall’Inghilterra, che si era sposato e che aveva preso in gestione il ristorante Portichetto di Rivergaro insieme ad un socio. Nell’autunno del ‘72 ebbi un incarico di insegnamento presso la scuola media locale e così decisi di andare a trovarlo. Era un po’ ingrassato e già aveva grossi problemi a camminare a causa di una malattia ossea che più tardi gli fu fatale. Ma era sempre il solito burlone. “Hai letto il giornale di oggi?” mi chiese tendendomi il foglio rosa della Gazzetta. Gli diedi un’occhiata distratta e scoppiai a ridere. Portava, se non ricordo male, questa intestazione:
“Il campionissimo si laurea a Lugano campione del mondo”.(Giorgio Vecchi, 2012).


Bartali, Riva e Coppi al musichiere