il sistema politico del libero Comune di Piacenza
di Edoardo Pivoni
Se la politica oggi sembra complicata, quella medievale era davvero intricata. Il libero Comune di Piacenza, associazione spontanea di cittadini maggiori (nobili, giudici, mercanti) e di cittadini minori (notai, artigiani, negozianti) che costituiscono il "populus placentinus", nasce all'inizio del XII secolo come prosecuzione e superamento più "democratico", ma pur sempre oligarchico, del governo del vescovo-conte dell'Alto Medioevo. Se le esigenze che lo fanno sorgere sono di natura difensiva: costruzione e custodia delle mura cittadine, approvvigionamento della città, cura delle strade, in un momento storico in cui il potere centrale, il Sacro Romano Impero germanico, è lontano e praticamente virtuale, quelle che lo fanno crescere vengono dallo sviluppo dell'economia urbana e mercantile e dalla forte dinamica demografica che si determinano a Piacenza, come nelle altre città dell'Italia centro-settentrionale, dopo secoli di abbandono e di regresso civile ed economico e parcellizzazione politica.
Un ceto, quello aristocratico composto da cittadini già al servizio del governo vescovile (ne fanno fede i loro nomi: visconti, vicedomini, confalonieri, capitani, vassalli, ecc.) guida la prima fase di vita dell'ente cittadino che, grosso modo, arriva sino alla fine del XII secolo. La più alta magistratura è rappresentata dai consoli, elettivi, di numero variabile da due a sette, che durano in carica sei mesi, ma l'effettivo controllo della cosa pubblica spetta all'assemblea popolare, la "concio", composta da tutti i cittadini dai 18 ai 70 anni. Essa si raduna davanti alla Cattedrale, nella piazza di Sant'Antonino prima e dal 1169, in quella della nuova ed attuale chiesa maggiore: il Duomo. L'assemblea elegge i consoli, ne riceve il giuramento, promulga le leggi, dichiara la guerra, ratifica i trattati con i domini vicini e lontani. Un Consiglio minore, composto da elementi della classe consolare, funge da organo esecutivo. Il Comune cittadino conquista a poco a poco tutto il contado dove i feudatari sono costretti a sottomettersi e a donare il loro feudo ricevendolo di ritorno a titolo di investitura (feudo oblato).
Un ceto, quello aristocratico composto da cittadini già al servizio del governo vescovile (ne fanno fede i loro nomi: visconti, vicedomini, confalonieri, capitani, vassalli, ecc.) guida la prima fase di vita dell'ente cittadino che, grosso modo, arriva sino alla fine del XII secolo. La più alta magistratura è rappresentata dai consoli, elettivi, di numero variabile da due a sette, che durano in carica sei mesi, ma l'effettivo controllo della cosa pubblica spetta all'assemblea popolare, la "concio", composta da tutti i cittadini dai 18 ai 70 anni. Essa si raduna davanti alla Cattedrale, nella piazza di Sant'Antonino prima e dal 1169, in quella della nuova ed attuale chiesa maggiore: il Duomo. L'assemblea elegge i consoli, ne riceve il giuramento, promulga le leggi, dichiara la guerra, ratifica i trattati con i domini vicini e lontani. Un Consiglio minore, composto da elementi della classe consolare, funge da organo esecutivo. Il Comune cittadino conquista a poco a poco tutto il contado dove i feudatari sono costretti a sottomettersi e a donare il loro feudo ricevendolo di ritorno a titolo di investitura (feudo oblato).
incisione su rame dipinta a mano
Col passare del tempo, a seguito della crescita demografica dovuta anche al forte inurbamento, l'assemblea popolare perde progressivamente potere a favore del Consiglio generale dei seicento e del Consiglio minore. Il Comune non è più l'insieme di tutte le persone fisiche che abitano la città ma diviene un ente dotato di personalità giuridica, rappresentato da organismi personali o collegiali aventi pieni poteri legislativi, giudiziari ed esecutivi. Nasce allora la lotta politica per la conquista e la gestione del potere e delle magistrature cittadine. Interessi economici e politici, spinte sociali di ceti produttivi ed emergenti liberamente si coagulano intorno a "partiti", spesso al di là e al di sopra di una semplice differenza di classe, trovando la composizione dei loro conflitti all'interno delle magistrature al vertice delle quali si alternano, in un complesso equilibrio, un pò tutte le forze rappresentative della città.
In questa situazione di equilibrio si afferma una magistratura, creata apposta al di sopra delle parti per garantire la gestione imparziale del potere: il podestà. Scelto generalmente in un'altra città, ad esso è affidata soprattutto l'amministrazione della giustizia, ma è anche il capo dell'esecutivo e convoca e presiede i consigli cittadini. La tacita suddivisione dei compiti, ai nobili l'amministrazione civile e ai popolari l'esercizio delle arti e del commercio, comincia a vacillare fin dal primo decennio del XIII secolo. Tutti ricercano il potere politico e quello economico, divenuti ormai inscindibili: le grandi casate nobiliari si danno alle attività mercantili, mentre i mercanti arricchiti pretendono investiture nobiliari e cariche nel governo cittadino. Accanto al Comune podestarile viene ad aggiungersi un Comune del Popolo, espressione delle classi sociali emergenti, con organismi paralleli e contrapposti al primo: un Consiglio generale, un Consiglio minore e un'alta magistratura personale, il capitano del popolo che, a Piacenza, assume il nome significativo di Capitano della società dei mercanti e dei paratici. In questo regime di diarchia istituzionale il Comune di Piacenza trova, ancora per un pò, un precario equilibrio destinato, alla fine del XIII secolo, a sfaldarsi e a consumarsi nella lotta civile ad oltranza e nell'anarchia, con le crescenti lotte fra guelfi e ghibellini a livello locale, cioè tra i sostenitori del potere imperiale e quello papale. Negli ultimi anni del secolo emerge la figura di Alberto Scotti, che eredita un ruolo di primo piano all'interno della fazione guelfa, diventando poi signore cittadino nel 1290, ma viene poi sconfitto e cacciato con la conquista della città da parte di Milano nel 1313: è la fine delle libertà comunali e dell'"indipendenza".
In questa situazione di equilibrio si afferma una magistratura, creata apposta al di sopra delle parti per garantire la gestione imparziale del potere: il podestà. Scelto generalmente in un'altra città, ad esso è affidata soprattutto l'amministrazione della giustizia, ma è anche il capo dell'esecutivo e convoca e presiede i consigli cittadini. La tacita suddivisione dei compiti, ai nobili l'amministrazione civile e ai popolari l'esercizio delle arti e del commercio, comincia a vacillare fin dal primo decennio del XIII secolo. Tutti ricercano il potere politico e quello economico, divenuti ormai inscindibili: le grandi casate nobiliari si danno alle attività mercantili, mentre i mercanti arricchiti pretendono investiture nobiliari e cariche nel governo cittadino. Accanto al Comune podestarile viene ad aggiungersi un Comune del Popolo, espressione delle classi sociali emergenti, con organismi paralleli e contrapposti al primo: un Consiglio generale, un Consiglio minore e un'alta magistratura personale, il capitano del popolo che, a Piacenza, assume il nome significativo di Capitano della società dei mercanti e dei paratici. In questo regime di diarchia istituzionale il Comune di Piacenza trova, ancora per un pò, un precario equilibrio destinato, alla fine del XIII secolo, a sfaldarsi e a consumarsi nella lotta civile ad oltranza e nell'anarchia, con le crescenti lotte fra guelfi e ghibellini a livello locale, cioè tra i sostenitori del potere imperiale e quello papale. Negli ultimi anni del secolo emerge la figura di Alberto Scotti, che eredita un ruolo di primo piano all'interno della fazione guelfa, diventando poi signore cittadino nel 1290, ma viene poi sconfitto e cacciato con la conquista della città da parte di Milano nel 1313: è la fine delle libertà comunali e dell'"indipendenza".